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Dove ci conduce il Rosatellum bis? A Parigi, a Londra, a Beirut o a Tripoli?

parigi, Daniele Capezzone

È stata la settimana della legge elettorale, e ringrazio Formiche.net per avermi già permesso di provare a descriverla senza infingimenti, nei suoi pregi e nei suoi difetti.
Detto fuori dai denti, siamo come dinanzi ai responsi della Sibilla cumana (“ibis redibis non morieris in bello”), quelli che decretavano un destino fausto o infausto a seconda della collocazione della pausa…

Allo stesso modo, qui potremo avere o coalizioni vere (esito auspicabile quanto improbabile: con chiare e alternative proposte di governo), o “coalizioni-fake”, messe su solo come recita elettorale, e con il retropensiero – una volta raggranellato un certo numero di seggi – di andare ognuno per la propria strada, chi verso le larghe intese, chi verso la protesta.

Ma c’è una considerazione più di fondo da fare. Un po’ tutti accettiamo l’assurdo (logico, politico, costituzionale) per cui si parla di legge elettorale del tutto a prescindere da qualunque considerazione sulla forma di stato e sulla forma di governo, da cui invece occorrerebbe partire.

Lo dico semplificando: prima definisci l’architettura istituzionale, e poi – solo poi! – scegli il sistema elettorale più adatto a quel modello. Prima stabilisci se vuoi andare a Washington (presidenzialismo) o a Parigi (presidenzialismo con un capo di governo distinto) o a Londra (premierato), e poi scegli il meccanismo elettorale corrispondente.

Se invece discuti di dettagli elettorali senza alcuna visione d’insieme, la conseguenza sarà evidentissima. Non finiremo né a Londra, né a Parigi, né a Washington: ma – a meno di un colpo di fortuna – a Beirut o a Tripoli, tra fazioni e tribù un po’ in lotta e un po’ in affari.

Auguri a noi tutti, e qualcuno si ricordi di comunicarlo ai mercati in vista delle prossime emissioni di titoli del debito pubblico, con un QE ormai alle sue ultime battute.



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