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Che cosa combinano Pietro Grasso e Laura Boldrini a Matteo Renzi?

Se lo dicono pure al Fatto Quotidiano, che ha commentato la domenica di Giuliano Pisapia e compagni impegnati a costruire “un’alternativa” al Pd di Renzi con un titolo sulla sinistra che parte “col piede sbagliato”, c’è da crederci.

Il giornale di Travaglio tuttavia se la prende soprattutto con ciò che accade dietro le quinte dei raduni dei critici e degli avversari dell’ex presidente del Consiglio, dove col “manuale Cencelli” di memoria democristiana in mano si distribuiscono posti e candidature ai soliti noti, non a gente nuova.

Ma l’aspetto più inquietante di ciò che accade a sinistra del Pd è quello istituzionale, giocandosi su quel terreno una concorrenza sempre più evidente fra i presidenti delle Camere. Che già prima della conclusione della legislatura hanno clamorosamente rinunciato alla neutralità imposta loro dal ruolo che ricoprono.

Il presidente del Senato, e potenziale supplente del capo dello Stato, dopo essersi dimesso dal Pd conservando però la carica istituzionale, non si lascia scappare occasione per mandare all’inferno il suo ex partito. Che sarebbe politicamente morto o degenerato con l’abbandono di Pier Luigi Bersani, cui Pietro Grasso – guarda caso – deve la candidatura nel 2012 a senatore e l’elezione, nel 2013, al vertice di Palazzo Madama.

La presidente della Camera Laura Boldrini, risparmiatasi l’uscita dal Pd solo per non esservi mai entrata, essendo stata eletta a Montecitorio nelle liste del partito allora guidato da Nichi Vendola, è appena salita sulla tribuna del popolo, diciamo così, dell’ex sindaco di Milano Pisapia per sostenere che col partito di Renzi non si possono ormai fare più accordi, qualsiasi cosa voglia o possa offrire l’ex presidente del Consiglio. E pazienza se così rifiutando, anche nelle elezioni politiche nazionali si ripeterà lo scenario delle elezioni regionali siciliane appena svoltesi, cioè con una partita giocata fra gli eserciti – si fa per dire – di Silvio Berlusconi e di Beppe Grillo, o delle loro controfigure.

Il povero Walter Veltroni si sta sprecando in appelli, richiami e quant’altro evocando le tragedie politiche e umane del secolo scorso, quando le divisioni della sinistra spianarono la strada alle tirannidi di destra e della stessa sinistra. Ma non sarà l’ex sindaco di Roma – temo – a fermare la corsa dei suoi compagni al suicidio.

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