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L’impotenza al servizio del potere

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Perché gli uomini tributano il loro consenso al potere? In un celebre volumetto concepito nel 1954, Carl Schmitt rispondeva così: “In certi casi per fiducia, in altri per paura, a volte per speranza, a volte per disperazione. Ma hanno comunque bisogno di protezione, e cercano questa protezione nel potere. Dal punto di vista umano, il legame tra protezione e obbedienza rimane l’unica spiegazione del potere” (Dialogo sul potere, Adelphi, 2012). Certo l’on. Giorgia Meloni non pensava al grande giurista tedesco quando, intervistata tre anni fa nel backstage di Atreju, l’abituale appuntamento della destra nazionale, definì quello di Renzi un “governo di eunuchi” perché incapace di liberare i nostri marò.

Forse non sapeva che proprio dal 2014 in India l’epiteto di eunuco non è più – almeno giuridicamente – oltraggioso. Con una storica sentenza, infatti, la Corte suprema di New Delhi ha sancito che c’è una terza identità di genere, e che essa è legale. Dopo aver conquistato nel 1984 l’elettorato attivo e passivo, le “creature dimezzate” – più reiette dei dalit – possono accedere alle provvidenze previste per le minoranze indigenti. Un successo per l’Hijra Kalian Society, l’organizzazione che difende i diritti dei circa tre milioni di “senza sesso” cristiani, induisti e musulmani. Secondo i suoi dati, oltre mille bambini vengono castrati ogni anno per mano di parenti e di criminali. La percentuale dei decessi è elevatissima, a causa delle condizioni igieniche in cui viene eseguito l’intervento. Chi sopravvive è destinato a prostituirsi e a chiedere l’elemosina. Se ha fortuna, viene reclutato come cantante  nelle feste nuziali.

Contrariamente a quanto si può pensare, gli eunuchi non sono un fenomeno in via di estinzione. Ce lo ricorda Fabio Mini in un bel saggio (I guardiani del potere, il Mulino). Ci sono siti web come Born Eunuchs e The eunuch archive che forniscono informazioni e consigli sulla castrazione, e che fanno dell’eunuchismo una specie di ideologia. Qui gli utenti non sono i diseredati del Terzo mondo, ma evoluti cittadini europei e anglosassoni. Il moderno fascino della castrazione ha componenti molteplici: morbosa curiosità, desiderio di continenza assoluta, tappa del percorso transgender, mezzo per agghiaccianti esperienze sessuali o per rimanere innocenti di fronte alla dilagante corruzione dei costumi. Queste motivazioni, vere o false, plausibili o incredibili, razionali o assurde, cercano di sostituire lo stereotipo dell’eunuco con il mito dell’eunuco, con l’apologia della castrazione come nascita di una persona migliore. Anche per smontare queste castronerie (da castrone: cavallo castrato), non guasta dare un’occhiata alla storia dell’eunuchismo.

Cominciamo da noi. La castrazione “euphonica”, cioè per fini musicali, nel corso del Settecento è stata una pratica quasi esclusivamente italiana. Decine di migliaia di giovinetti in età prepuberale – spesso orfani o di umile lignaggio – erano privati dei loro testicoli, recisi clandestinamente da norcini e barbieri. All’epoca non esisteva ancora l’anestesia; al più venivano storditi con una dose di laudano. Consapevoli quindi di rischiare la morte, ma spinti dalla speranza di salire nella scala sociale. Con la diffusione del melodramma, le “voci bianche” erano adorate – e ben retribuite – dal pubblico che gremiva i teatri di tutta Europa. Friedrich Händel ne era entusiasta. Carlo Broschi (in arte Farinelli), la più famosa ugola d’oro dell’epoca, invitato da Elisabetta Farnese alla corte di Spagna, vi resterà per ventidue anni come direttore degli spettacoli reali. Simbolo dell’opera lirica metastasiana, la sua stella si spegnerà – con disappunto di Gioacchino Rossini – nel nuovo firmamento dei tenori col “do di petto”, dalla virilità innegabile, perfetta, per il gusto del romanticismo.

Le origini della castrazione umana, dal latino “castrare”, lemma imparentato con il sanscrito “çastrám” (coltello), risalgono probabilmente agli antichi Sumeri. La mutilazione degli organi genitali maschili è stata adottata nelle guerre primordiali per togliere ai nemici qualcosa di più della stessa vita: la possibilità di trasmetterla. In questo senso, gli eunuchi – grazie alla loro impotenza – saranno più tardi investiti della difesa del bene supremo del potere: la discendenza. I primi grandi imperi – mesopotamici e egiziani, indiani e cinesi – hanno tutti conosciuto la violenza contro gli attributi sessuali come sanzione penale, e hanno diffuso l’eunuchismo tra i popoli sottomessi o satelliti. Tuttavia, il ricorso agli eunuchi come custodi dei ginecei nasce quando la linea di sangue comincia a delimitare l’accesso al potere, e quando le funzioni regali superano le capacità di controllo diretto del sovrano.

I sovrani dei piccoli regni potevano dominare con una famiglia relativamente ristretta e senza allontanarsi quasi mai dalla loro dimora, salvo le battute di caccia, le assenze adulterine e le spedizioni armate. La sicurezza della famiglia reale era allora affidata ai suoi stessi componenti. Solo quando fiducia, onore e virtù iniziano a decadere, diventerà necessaria qualche precauzione come la cintura di castità. Con l’affermazione del modello imperiale, la linea del sangue e la sua integrità dovevano essere assolutamente salvaguardate. L’intera amministrazione del potere aveva bisogno di funzionari senza prole, senza clan e quindi senza ambizioni pericolose. Sia come “guardiano di letto” (è questo il significato del termine greco eunukos), sia come ambasciatore, generale o spia, l’eunuco ha corrisposto a queste esigenze di carattere politico più che alla gelosia dei regnanti.

Se nelle civiltà mesopotamiche si era affermato il paradigma dell’eunuco sacerdote, a Roma quello di paraninfo, a Bisanzio quello di gestore del potere, l’islam – pur riservandogli ruoli analoghi – lo specializza nel governo dell’harem, esaltandone nel contempo il valore militare, la fedeltà, la munificenza. È però nell’impero ottomano che le diverse tradizioni dell’eunuchismo si compendiano in un peculiare modello di potere, ostentato come sfida culturale all’occidente. Quattro tra le massime cariche erano riservate agli eunuchi: il gran ciambellano, l’intendente al tesoro della corona, il gran coppiere e l’intendente generale del palazzo. Erano burocrati assai privilegiati e facoltosi.

Eunuchi, inoltre, erano i responsabili dei “serragli” delle concubine del sovrano. Quelli di pelle nera erano castrati integrali e potevano circolare liberamente nei quartieri femminili. Quelli di pelle bianca erano “spadoni”, cioè solo senza gonadi, e svolgevano servizi accessori nelle aree esterne all’harem. Gli intrighi delle concubine per infilarsi sotto le lenzuola del sovrano erano spietati, e la complicità degli eunuchi era essenziale. Gli ottomani continueranno comunque a usarli come sentinelle dell’onestà coniugale, sebbene l’alto numero di schiave e di favorite nei ginecei rendesse più che problematico l’accertamento della maternità della prole.

Il termine cinese che designa l’eunuco è “huanguan”. Il primo registrato alla corte Zhou si chiamava Ch’in-yen, in servizio nel 720 a.C. Di solito l’evirazione veniva eseguita dagli stessi familiari, talvolta da castratori di professione. L’intervento chirurgico era preceduto da un bagno caldo e dalla sommininistrazione di una droga come anestetico. Il paziente veniva legato su un tavolo inclinato. Ricevuto il suo “consenso informato”, i genitali (i “tre gioielli”) venivano stretti con garze di seta e tagliati con un coltello a forma di falcetto. La ferita veniva lavata con acqua pepata e ricoperta con bende di carta imbevute di acqua fredda, alternate a manciate di polvere emostatica. Nel canale dell’uretra veniva inserito un piccolo tappo di legno. Dopo due o tre giorni veniva staccato il tappo uretrale. Se il paziente urinava era salvo, se non urinava periva tra atroci dolori.

Sebbene abolito nel 1911, il sistema degli eunuchi nel 1916 contava ancora oltre duemila castrati imperiali. Con la guerra civile, la costituzione della repubblica popolare e la rivoluzione culturale, gli eunuchi saranno perseguitati, banditi, dileggiati e imprigionati. Nel 1996 è morto quasi centenario l’ultimo dei sopravvissuti, Sun Yaoting.  Oggi è sepolto nel cimitero del suo villaggio, nella contea di Jinghai, insieme ad altri castrati, deceduti dopo l’evirazione o vissuti in povertà e solitudine. I suoi pochi oggetti personali sono esposti nel museo di Shijingsham dedicato a Tian Yi, il più famoso eunuco della dinastia Ming. Non era un povero diavolo come Sun Yaoting. Era stato altrettanto longevo ma molto più potente. L’unico merito della sua quasi divinizzazione era rappresentato dai più di sessant’anni di servizio a corte sotto tre imperatori, in piena lealtà e rettitudine. È uno dei tanti paradossi di cui è piena la storia: l’impotenza al servizio del potere.


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