La partita contro il terrorismo si gioca sulla prevenzione e sullo scambio di informazioni perché la fuga dei foreign fighters in rotta dopo la caduta di Mosul e soprattutto di Raqqa resta il pericolo principale. “Se 10 mesi fa mi avessero chiesto della possibilità di infiltrazioni organizzate di terroristi nei flussi migratori avrei risposto di no, oggi invece siamo di fronte a possibili ritorni individuali e tra le vie più facili ci sono i flussi migratori”, ha detto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola di perfezionamento delle forze di polizia. Alla Scuola, secondo il ministro, si gioca un pezzo importante del futuro dei nostri investigatori perché si migliora la cooperazione interforze e l’internazionalizzazione, come dimostrano i 63 paesi che dal 2015 hanno partecipato ai corsi della connessa Scuola internazionale di alta formazione di Caserta.
Il rischio, secondo Minniti, non è solo il possibile arrivo in Europa di combattenti, ma anche che “la Libia e l’Africa settentrionale diventino rifugi sicuri per i terroristi e dunque piattaforma d’attacco verso l’Europa”. Lo stesso rischio riguarda i Balcani, dove da decenni c’è una fortissima radicalizzazione e in particolare il numero di foreign fighter del Kosovo e della Bosnia è molto alto in proporzione alla popolazione. E’ vero, come ha detto il capo della Polizia, Franco Gabrielli, che in generale i foreign fighters tenderebbero a ricollocarsi in aree di crisi, ma l’Africa e i Balcani hanno prodotto un grande numero di foreign fighters, quindi “la guerra non è finita e i successi sul fronte simmetrico produrranno contraccolpi su quello asimmetrico”. A questo si aggiunge, ha rilevato Minniti, una “partita per destabilizzare il paesi del Nord Africa come l’Egitto sperando in un effetto domino”. La sanguinosa strage del 24 novembre contro una moschea frequentata da sufi nel Sinai settentrionale “è molto più vicina di quanto sembri” e l’aver colpito una componente islamica aperta al confronto dimostra che i jihadisti vogliono fare “terra bruciata intorno a chi dialoga”.
La formazione è dunque centrale, ma certo Minniti e Gabrielli ritengono lo scambio di informazioni l’elemento più importante. Il ministro, citando il recente vertice del G7 dell’Interno, ha ricordato che in quella sede si discusse della mole di informazioni che può regalare la conquista di Raqqa e che l’Italia, non essendo sul terreno, ha sollecitato lo scambio di dati agli alleati che sono lì. Contro i foreign fighters (che a livello internazionale si continua a quantificare in 25mila-30mila, molti dei quali certamente morti) Minniti ha ribadito una ricetta in tre punti: collaborazione internazionale, deradicalizzazione, prevenzione, aggiungendo un suo punto fermo che si presta anche a valutazioni politiche. Il patto con le principali organizzazioni dell’Islam italiano firmato nei mesi scorsi, infatti, è per il ministro un “accordo di sicurezza”, dal riconoscimento dei cardini della Costituzione ai sermoni nelle moschee fatti in italiano, ed è quindi una strada da perseguire. Minniti, in sostanza, è contrario a intervenire per legge su temi connessi alla religione preferendo responsabilizzare chi ha firmato quel patto.
Resta il problema dei “lupi solitari” e, teme Minniti, in Italia potremmo perfino trovarci di fronte a un incrocio tra costoro e i foreign fighters. L’Italia risponde con le espulsioni, arrivate quest’anno a 97, e con l’accordo con i grandi provider del web presenti al G7 di Ischia. Il rischio-web è connesso al grande tema della deradicalizzazione. Il generale della Guardia di Finanza Gennaro Vecchione, direttore della Scuola di perfezionamento, ha ricordato che l’internet che tutti noi conosciamo rappresenta solo il 4 per cento del totale, il “deep web” invece conta 550 miliardi di documenti non indicizzati.
Di deradicalizzazione ha parlato anche il rettore dell’università “Aldo Moro” di Bari, Antonio Felice Uricchio, ricordando il 1° master internazionale in prevenzione della radicalizzazione del terrorismo e la legge in materia di Andrea Manciulli e Stefano Dambruoso approvata alla Camera e in discussione al Senato. La speranza è sempre che venga approvata prima dello scioglimento delle Camere.