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Nazionale di calcio fuori dal Mondiale? Una disfatta annunciata

La catastrofe era stata annunciata nel 2010 in Sud Africa, confermata nel 2014 in Brasile, pienamente realizzatasi con la eliminazione dalla partecipazione al mondiale in Russia nel 2018. Tre tappe, dopo la vittoria della Coppa del Mondo nel 2006, che la nazionale italiana ha inanellato con una leggerezza della quale portano la responsabilità tutti coloro che hanno guidato il movimento calcistico con approssimazione, ignoranza, superficialità. Non c’è un solo responsabile della disfatta ampiamente prevista contro una formazione assai mediocre che non si qualificava da undici anni alla fase finale come la Svezia. E in Svezia, al Mondiale che rivelò un ragazzo brasiliano di diciassette anni, Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelé, nel 1958 l’Italia non c’era, eliminata dall’Irlanda. Poi, per sessant’anni non ha mai mancato l’appuntamento. Fino a ieri sera. Quando il calcio italiano si è inabissato come un vascello minato da troppi irreparabili guasti.

(I CALCIATORI ITALIANI DOPO L’ELIMINAZIONE DAI MONDIALI. LE FOTO DA SAN SIRO)

Dunque, sarebbe ignobile (ma ce lo attendiamo) far ricadere tutte le colpe sulle fragili spalle di Giampiero Ventura, commissario tecnico incappato in una sfida più grande di lui: far rinascere il football a livello di rappresentativa nazionale, utilizzando un materiale umano tecnicamente povero, a parte pochissime individualità, servendosi di un bacino al quale attingere prosciugato dalla massiccia presenza nei campionati di serie A e di serie B di stranieri che inevitabilmente hanno finito per togliere il posto agli italiani.

(LE FOTO DELLA PARTITA ITALIA-SVEZIA A MILANO)

E’ una storia antica alla quale non si è voluto mettere riparo, permettendo ai club di tesserare quanti più giocatori asiatici, africani, sudamericani possibili (quasi nessuno di eccelse qualità e dunque a poco prezzo) con il risultato di togliere spazio a ragazzi italiani che perfino nei vivai e nelle squadre giovanili si vedono surclassati dagli stranieri dal momento che le società preferiscono acquistare all’estero campioni immaginari che tali restano nella stragrande maggioranza dei casi.

(I CALCIATORI ITALIANI DOPO L’ELIMINAZIONE DAI MONDIALI. LE FOTO DA SAN SIRO)

Anche altrove i campionati sono gremiti di stranieri: la Premier League ne ha tesserati quest’anno più della serie A italiana, ma l’Inghilterra, come del resto il Belgio, la Francia, la Spagna che, sia pure in misura minore, attingono all’estero, hanno staccato il biglietto per la Russia. Che cosa vuol dire? Semplicemente che le federazioni di questi Paesi hanno un parterre amplissimo dal quale prendere buoni giocatori e qualche campione che affiancano nei club a coloro che vengono da lidi lontani. E praticano una seria politica giovanile – sulla scia della grande riforma attuata dopo il 2006 dalla Germania, che fece tesoro della sconfitta patita ad opera degli azzurri in casa sua – acquistando quindi soltanto ciò che merita. In Italia si compra di tutto, al punto che sempre più spesso tra gli undici che scendono in campo non c’è neppure un italiano.

(LE FOTO DELLA PARTITA ITALIA-SVEZIA A MILANO)

La situazione è grave e scandalosa. E non vi si è certamente posto rimedio obbligando le società a formare “rose” di venticinque calciatori dei quali un certo numero deve provenire dai vivai, ma se i vivai sono inzeppati di stranieri? E se questi dopo un certo tempo acquisiscono la nazionalità italiana? E se coloro che non l’acquisiscono riescono a farsi passare, come un tempo, per “oriundi”? Anni fa nessuna formazione poteva comprendere ragionevolmente più di tre stranieri. Le cose, anche per la nazionale, andavano meglio, come ricorderanno coloro che hanno passato la quarantina. La follia del mercato ha ucciso il calcio (per la verità non soltanto in Italia) e, di tanto in tanto, anche altre nazionali blasonate come la nostra si leccano le ferite in ragione della prevalenza del fatturato e della globalizzazione pallonara.

(I CALCIATORI ITALIANI DOPO L’ELIMINAZIONE DAI MONDIALI. LE FOTO DA SAN SIRO)

In Russia non ci andiamo, dunque, per il rendimento davvero imbarazzante della compagine che da dodici anni ci rappresenta. La peggiore fu quella in Brasile, nello scorso Mondiale, che comunque fino al girone eliminatorio della fase conclusiva ci arrivò. Credevamo di aver toccato il fondo. Ci illudevamo. I ragazzi di Tavecchio e Ventura ci hanno fatto rimpiangere Abete e Prandelli: buttati fuori da una Svezia men che mediocre i cui giocatori più rappresentativi militano in squadre non proprio di primo rango in mezza Europa e guadagnano ognuno meno di un terzo di chi è peggio pagato dei nostri. La doppia gara con la Svezia è stata confusa, priva di idee, giocata da formazioni che non avevano né capo, né coda. Si è tirata la palla verso il portiere senza convinzione, i soli possibili costruttori di gioco sono stati tenuti in panchina… un dejà vu che non ci ha sorpreso se non per le dimensioni della inadeguatezza dimostrata dallo staff tecnico e dai giocatori.

(LE FOTO DELLA PARTITA ITALIA-SVEZIA A MILANO)

Comunque, tutto il percorso di qualificazione è stato punteggiato da una mediocrità che speravamo superabile. Poi lo scontro decisivo con la Spagna a Madrid nel settembre scorso ha mostrato tutti i limiti che avevamo tenuto nascosto (ma neppure tanto bene) incontrando avversari di rango inferiore. L’umiliazione inferta agli azzurri dalle “furie rosse” è come se ci avesse posto davanti ad uno specchio nel quale finalmente abbiamo potuto constatare la nostra pochezza tecnica, tattica, caratteriale. Ed abbiamo faticato con Albania e Israele prima di incontrare gli svedesi che ci hanno letteralmente atterrati praticando un non-gioco al quale non siamo stati capaci di opporre altro che formazioni sgangherate, sfiducia, rinuncia, improvvisazione e, soprattutto, una palese dimostrazione di come non si costruisce una squadra di calcio.

(I CALCIATORI ITALIANI DOPO L’ELIMINAZIONE DAI MONDIALI. LE FOTO DA SAN SIRO)

Peggio della sconfitta con la Corea del Nord in Inghilterra nel 1966, peggio dell’eliminazione in Cile nel 1962, peggio di sempre insomma. E per chi ha fatto del calcio una sorta di elemento identitario collettivo c’è da riflettere su una caduta che riassume simbolicamente un declino più complessivo.

(LE FOTO DELLA PARTITA ITALIA-SVEZIA A MILANO)

La prossima estate i Mondiali ce li vedremo comunque. Comodamente seduti in poltrona, senza farci venire inutili extrasistole e tifando per chi più ci piace. Io ho scelto da tempo l’Islanda, terra che amo, nazione talmente civile da aver investito sul calcio non per vincere la Coppa del Mondo (potrebbe capitare nel giro di un decennio!) ma per togliere i ragazzi dalle strade, per sottrarli all’inedia, al grigiore di una vita senza slancio. In pochi anni, in un Paese che conta appena 332.500 abitanti, la Federazione ha costruito centinaia di impianti sportivi coperti, per rendere il calcio giocabile tutto l’anno e non solo per sei mesi, con campi in erba sintetica, in erba naturale e in parquet; tutti gli allenatori, ad ogni livello, hanno il patentino UEFA e percepiscono un piccolo stipendio; le manifestazioni calcistiche coinvolgono quasi tutte le famiglie ben contente di veder sottratti i loro figli all’alcool e alla droga. Stanno crescendo i piccoli islandesi, i loro fratelli maggiori si sono qualificati per disputare il secondo Mondiale della loro storia: in Brasile arrivarono agli Ottavi. Chissà dove arriveranno in Russia. Noi staremo a guardarli, dimenticando i nostri “eroi” caduti tra Solna e San Siro dove nessuna nazionale aveva celebrato i suoi fasti contro l’Italia. Prima di lunedì 13 novembre 2017, una data da ricordare.

(I CALCIATORI ITALIANI DOPO L’ELIMINAZIONE DAI MONDIALI. LE FOTO DA SAN SIRO)

(LE FOTO DELLA PARTITA ITALIA-SVEZIA A MILANO)



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