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La lotta al terrorismo, la sicurezza e la privacy. Parla Paolo Gentiloni

“Non siamo affatto condannati a combattere il terrorismo al prezzo di somigliargli”. Parola del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che nell’introduzione al volume della rivista Gnosis dal titolo “Sicurezza e Libertà”, celebrativo dei dieci anni della riforma dei servizi segreti, va al cuore di un tema di estrema attualità: cosa è prioritario, la sicurezza dei cittadini o i loro diritti civili?

Un trade-off che si presenta sempre più spesso davanti a chi lavora nei servizi. E che negli ultimi due anni è emerso drammaticamente negli Stati Uniti, dove sono volate scintille fra l’Fbi e le grandi multinazionali dell’high tech, ferme nella volontà di negare l’accesso agli 007 ai dispositivi incriminati, quand’anche si trattasse di terroristi. Così il n.2 di Facebook per l’America Latina Diego Jorge Dzodan finì in manette a San Paolo nel 2016. Mentre solo un mese fa Apple si rifiutava di sbloccare lo smartphone di Devin Patrick Kelley, il ventiseienne che il 5 novembre ha ucciso a colpi di fucile 26 persone in una chiesa di Sutherland Spring.

Sul punto la linea del governo italiano è chiara. “Non è comprimendo la libertà dei cittadini che si contrasta efficacemente il terrorismo, non è sacrificando la protezione dei dati personali che si può perseguire la sicurezza cybernetica” ha spiegato Gentiloni ricordando la legge 124 del 2007, che conferendo nuovi incisivi poteri di controllo al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ha voluto garantire che l’attività dei Servizi si svolga nel rispetto della Costituzione e delle leggi. Grazie “all’impulso fruttuoso del Copasir” la riforma di dieci anni fa ha ampliato il perimetro giuridico del lavoro dei Servizi, bilanciando l’estensione delle misure emergenziali, anche preventive, con un ampliamento del controllo parlamentare sulle attività di intelligence. In questo modo, scrive il premier, “gli Organismi informativi possono preservare gli interessi nazionali nel perimetro stabilito dall’ordinamento e in sintonico confronto con l’organismo parlamentare di controllo”.

Da una parte e dall’altra della sottile linea rossa che divide sicurezza e libertà individuali si sono ritrovati più volte, in conflitto, il Parlamento e il Garante per la Privacy. È successo l’8 novembre scorso, quando la Camera ha dato l’ok per la norma contenuta nella legge europea che allunga i termini di retention dei dati telefonici da 24 a 72 mesi, in deroga all’articolo 132 del Codice della privacy. Non sono mancate proteste fra i due palazzi di piazza Montecitorio, con il Garante che definì la misura “Un inaccettabile sacrificio della privacy”.

La prevenzione delle minacce del web ha riportato al centro del dibattito il rispetto delle libertà individuali da parte dell’intelligence in quest’anno di presidenza italiana del G7. Dall’isola di Ischia a ottobre i ministri dell’Interno hanno fatto appello alle compagnie internet e ai social media per una più stretta collaborazione con le forze di sicurezza nella lotta al terrorismo, oscurando la propaganda online di Daesh con un controllo preventivo. Nel comunicato finale c’è anche però un richiamo affinché la rimozione del materiale online ritenuto dannoso avvenga “senza compromettere i diritti umani e le libertà fondamentali”. Questo è anche l’appello di Gentiloni: “Occorre continuare a mantenere l’Italia nella posizione, che la caratterizza, di grande equilibrio nel garantire assieme, come armoniose endiadi, sicurezza e libertà, sicurezza e privacy, riservatezza e trasparenza, senza mai cadere nella tentazione di scorciatoie illusorie e pericolose”.

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