L’edizione europea di Politico ha recentemente dedicato un interessante approfondimento alla “desert diplomacy” italiana, la strategia finalizzata al controllo dei flussi migratori targata Marco Minniti (nella foto) con la quale nell’arco degli ultimi mesi il governo italiano ha posto le basi per un processo di stabilizzazione e controllo della Libia, una delle aree più sensibili e difficili al mondo.
Il ministro dell’Interno viene inquadrato come una delle poche personalità europee in grado di trovare efficaci interlocutori in una terra che ha da tempo perduto qualsiasi sovranità, l’unico in grado di instaurare un dialogo su basi credibili e finanche di raggiungere un accordo tra i tanti attori attivi all’interno delle martoriate macroregioni libiche, dilaniate da faide tra le tribù che si contendono il dominio territoriale.
Di Minniti viene elogiata l’abilità nel trovare la giusta strategia per metter ordine nel caos libico, la conoscenza del territorio, possibile grazie all’ineguagliabile lavoro degli apparati di sicurezza italiani, e la lungimiranza nel cercare le sponde più efficaci per controllare, incanalare e ridurre i flussi migratori che hanno segnato con il sangue delle vittime in mare i mesi passati, frequentemente sconvolti da notizie di naufragi e perdite umane.
Politico descrive, infatti, in dettaglio i passaggi che dal 2016 a oggi hanno portato a un graduale confronto tra le autorità italiane e le rappresentanze delle tribù libiche, ponendo in evidenza il quadro iniziale assai frammentario e disgregato. Solo con l’abilità degli apparati informativi italiani, che Minniti ha imparato a conoscere approfonditamente in anni d’impegno istituzionale nel settore, è stato possibile coltivare la fiducia reciproca nella possibilità di raggiungere un’intesa che tenesse conto dell’esigenza italiana, ed europea, di limitare gli sbarchi sulle coste del Mediterraneo.
A Minniti è anche attribuito l’appellativo di “minister of fear” (ministro della paura), per la sua capacità di razionalizzare la complessità delle situazioni, una complessità che spaventerebbe se non adeguatamente gestita. Nel rimarcare la freddezza con cui il ministro ha affrontato finora un tema che preoccupa seriamente tanto gli addetti al settore quanto la società civile, il sito di approfondimento evidenzia indirettamente la sostanziale assenza o – in alternativa – l’inefficacia degli interventi attuati dall’Unione e dai singoli Paesi europei.
L’apprezzamento per i risultati raggiunti dalle forze di sicurezza italiane e dai vertici istituzionali alla loro guida non è nuovo per la stampa internazionale. Proprio Politico nell’estate scorsa aveva elogiato la preparazione e l’organizzazione tecnica dei nostri militari, con un articolo intitolato “Europe’s military maestros: Italy” dal quale emergeva chiaramente il contributo fondamentale e qualitativamente pregevole che Roma offre in scenari assai complessi e sfidanti.
Sulla stessa linea anche i commenti espressi solo pochi mesi fa dal New York Times, che definiva lo stesso Minniti come il “signore delle spie”, in un articolo segnalato da Formiche.net interamente dedicato a elencare in dettaglio le ragioni del successo del politico italiano che può vantare un’approfonditissima conoscenza di tutto ciò che riguardi il mondo della sicurezza nazionale e dell’antiterrorismo. Anche in quel caso, l’apprezzamento verso un uomo delle istituzioni è incondizionatamente traslabile in un’autorevole manifestazione di stima verso l’Italia e il contributo dei nostri apparati di sicurezza nel mondo.