Secondo le fonti interne al West Wing del Financial Times, come parte di “un’assertiva strategia di sicurezza nazionale America First”, che il presidente statunitense Donald Trump rivelerà lunedì, la Casa Bianca accuserà la Cina di “aggressione economica”.
VINCITORI E PERDENTI
Mike Allen, top-player tra i giornalisti politici americani, racconta nella sua newsletter, di aver inviato un sms con il link al pezzo del FT a Steve Bannon, stratega proto-trumpista che adesso conduce la battaglia America-First da fuori l’amministrazione (ma con sempre più vigore): la risposta di Bannon è stata contenuta in una sola parola, “#winning”. Se l’ideologo del trumpismo ruggito dalle colonne di Breitbart News si sente il vincitore, chi perde è quel nucleo di normalizzatori che per mesi ha cercato — d’accordo con l’establishment del partito repubblicano — di riportare l’azione di governo di Trump su una traiettoria più classica, anche nel rapporto con la Cina. Ora la strategia di Sicurezza nazionale potrebbe essere un documento che fa da starter a una serie di policy guerresche contro i cinesi (il documento serve per indicare come la Casa Bianca vuole far fronte a quelle che ritiene minacce, sia militari, ma anche economiche o commerciali).
IL CONTESTO TRA USA E CINA
Gli Stati Uniti soffrono un’enorme sbilancio commerciale con Pechino, e ridurlo — combatterlo — nell’interesse dell’economia americana è una delle promesse e degli obiettivi con cui il nazionalismo economico ha convinto gli elettori delle fasce più alte (anche quelli del mondo imprenditoriale) che hanno votato Trump – a settembre, fu lo stesso Bannon, ancora in carica, a spiegare in incontri pubblici ad Hong Kong i punti nevralgici di questo nazionalismo economico. Riequilibrare certe situazioni è questione annosa, condivisa da repubblicani e democratici, cui Trump ha dato apertamente voce. Per esempio: sull’ultimo numero della rivista Formiche, Alberto Rossi, responsabile marketing e analista Cesif, Centro studi per l’impresa fondazione Italia-Cina, ha pubblicato un’approfondita analisi su come Pechino arriverà tra cinque anni a guidare il mercato dei beni di consumo; contemporaneamente in un’altra analisi, dell’ammiraglio italiano Ferdinando Sanfelice di Monteforte (uscita sempre sul mensile), si spiega come il presidente cinese Xi Jinping si stia costruendo attorno anche l’aurea del commander in chief militare. Il rafforzamento economico e quello militare nello stesso momento, parlano chiaramente di una Cina potenza a tutto campo che può anche sovrapporsi agli interessi americani: un esempio, le preoccupazioni di Washington sulla privatizzazione di Saudi Aramco, mentre Pechino cerca di mettere le mani nella marmellata del colosso petrolifero saudita. E le attività cinesi sono sempre più assertive: per esempio, da poco il capo dell‘intelligence tedesca ha denunciato i tentativi di spionaggio di Pechino attraverso i canali di LinkedIn; o ancora: in questi giorni, inoltre anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) italiano avrebbe chiesto – durante un’audizione del direttore dell’Aisi, Mario Parente – un’informativa sulla recente visita di una delegazione cinese presso la sede di Open Fiber.
LA CINA COME MINACCIA
Una persona che ha familiarità con la strategia che Trump sta per lanciare, ha detto al FT che “è probabile che il documento (o Trump, ndr) definisca la Cina come un concorrente in ogni settore, [anzi] non solo un concorrente ma una minaccia, e quindi, secondo molti in questa amministrazione, un avversario”. Si tratta di “un forte segnale che (Trump) sta diventando frustrato dalla sua incapacità di usare il suo legame con il presidente cinese Xi Jinping per convincere Pechino ad affrontare le sue preoccupazioni commerciali”.
UN RICHIAMO INTERNO
Qualche mese fa, Trump ha visitato Pechino, dove è stato accolto con attenzioni estreme, ha tenuto incontri cordiali, e annunciato anche l’inizio della costruzione di un feeling personale con Xi. Secondo alcuni insider che sui media americani commentano lo scoop del giornale economico londinese, la posizione che l’amministrazione potrebbe annunciare ha comunque un valore ancora più che altro interno (il traguardo sono certamente le prossime elezioni di metà mandato, dove Trump cerca conferme che passeranno dal mantenimento del controllo Repubblicano sulle due camere). L’ottica interna è battuta perché inquadrare la Cina come una minaccia richiede la modifica di un ampio set di visioni, dottrine e programmi, mente finora il primo contatto profondo tra la Washington di Trump e la Pechino di Xi è stato sulla linea del mantenimento (ma Trump è l’artista del deal, dove serve il bastone e la carota secondo la sua visione delle cose).