La scorsa settimana Nikki Haley, ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, era in un base a sud di Washington a mostrare ai giornalisti invitati in un conferenza stampa le prove raccolte da intelligence e Difesa americana sul passaggio di armi iraniane ai ribelli statualizzita yemeniti. Gli Houthi, diceva la Haley, hanno tecnologie militari che non avrebbero mai potuto ottenere se non grazie all’aiuto di Teheran, che ha contrabbandato verso di loro pezzi di vario genere, non tanto per un feeling ideologico (gli Houthi sono una minoranza sciita, mentre l’Iran è il riferimento dello sciismo nel mondo), ma come piano strategico. Le milizie che hanno conquistato un paio di anni fa Sanaa e da poche settimane ucciso l’ex presidente yemenita che aveva provato a smarcarsi da un’alleanza di comodo con loro, devono – nel piano iraniano – usare quelle armi contro l’Arabia Saudita e i suoi alleati.
LA GUERRA IN YEMEN, TRA FAME E POLITICA
Riad guida una coalizione (dove la presenza maggioritaria è degli emiratini, ma è composta da una dozzina di paesi) che sta cercando di riconquistare lo Yemen, ma dopo più di mille giorni di guerra non ha ottenuto successi. Vero che sauditi&partner non hanno esperienze militari – e dunque le costose tecnologie comprate dall’Occidente sembrano inutile senza sapere come comandarle – ma è difficile pensare che quei “ribelli montanari” (® Daniele Raineri, Foglio) avrebbero potuto resistere senza aiuti esterni. Però, per il momento, non ci sono testimonianze concrete su questi passaggi di armi da Teheran – manca la pistola fumante insomma. E anche le prove mostrate da Haley sono state insoddisfacenti secondo gli analisti; val la pena ricordare, comunque, che l’uscita pubblica dell’ambasciatrice aveva più che altro un obiettivo politico: Haley è un falco dell’amministrazione Trump, piace moltissimo al presidente perché ha dei modi piuttosto secchi e severi, e quella conferenza stampa era stata organizzata per seguire la linea anti-iraniana che la Casa Bianca sta tenendo, riaffermando contemporaneamente la vicinanza ai sauditi. Inoltre: diventa difficile per gli Stati Uniti seguire questa linea politica dato che la guerra in Yemen sta diventando argomento del contendere di denunce sulla crisi umanitaria che si è creata (per l’embargo saudita) e sulle vittime civili.
LA QUESTIONE REGIONALE
Riad infatti utilizza la guerra yemenita per spiegare marcatamente che l’Iran è una realtà aggressiva che gioca la sua influenza nella regione con le armi, con le milizie, con la forza insomma. Haley ha mostrato le immagini di un missili di fabbricazione iraniana di nome Qiam-1 che sarebbe stato passato da Teheran agli Houthi smontato, e poi ri-assemblato in Yemen. Il missile, secondo le informazioni americane, era quello che il 4 novembre i miliziani avevano sparato contro l’aeroporto internazionale di Riad, con la consulenza delle Guardie della Rivoluzione iraniana (che sono considerati coloro che gestiscono questi traffici clandestini strategici) – secondo i sauditi è stato subito intercettato in volo da un Patriot saudita Made in USA, ma qui c’è una storia nella storia, perché pare che l’efficienza del sistema antimissili che gli americani hanno venduto al regno abbia fatto fiasco, e anche per questo Riad si starebbe avvicinando a prodotti russi e cinesi.
LA RICOSTRUZIONE E I DUBBI
Questo genere di ricostruzioni – passaggio dei pezzi, assemblaggio locale, consulenza – sono già state fornite dai sauditi, sia in occasione dell’attacco allo scalo re Khalid, sia un mese esatto dopo, quando un altro missile partito dallo Yemen era caduto nel deserto emiratino mentre era diretto contro un reattore nucleare. Però, ancora, Haley non ha convinto con le prove mostrate: il missile poteva essere un Qiam (era in alluminio, materiale di fabbricazione del vettore iraniano), ma non poteva essere quello sparato perché le immagini lo mostravano intatto (difficile dopo la deflagrazione o l’intercettazione).
UN Amb. Nikki Haley presents “recovered pieces of a missile fired by Houthi militants from Yemen into Saudi Arabia,” a missile she says bears “Iranian missile fingerprints.” https://t.co/YkDFeC039t pic.twitter.com/CFOgOSz7HZ
— ABC News Politics (@ABCPolitics) 14 dicembre 2017
L’ULTIMO LANCIO È LA PISTOLA FUMANTE?
Tre giorni fa le milizie Houthi hanno diffuso online un video in cui si mostrava il lancio di un (altro) missile Qiam-1 dallo Yemen verso l’Arabia Saudita – il video è stato inizialmente postato su Twitetr da un media collegato a Hezbollah, e questa è già una risposta per chi sostiene che da Teheran parta un network di milizie ormai endemico in tutto il Medio Oriente (infatti Hezbollah è il satellite libanese dell’Iran, che nel caso riprende un’azione dei colleghi dallo Yemen).
Hezbollah media releases video of missile launched by Houthi forces at Saudi royal palace in Riyadh earlier today. pic.twitter.com/mq8awI3U48
— Tobias Schneider (@tobiaschneider) 19 dicembre 2017
Il missile, che gli yemeniti hanno ribattezzato H-2 Volcano, era piuttosto riconoscibile (più attenzione è stata invece fatta al sistema di lancio, non inquadrato) ed era diretto verso il palazzo al Yamanah di Riad, dove il re e il re-de-facto suo figlio stavano tenendo una riunione di gabinetto sul nuovo budget statale per il 2018. In quelle stesse stanze, in quegli stessi giorni, era arrivato in visita il capo della Cia, altro falco trumpiano anti-Iran, probabilmente a riaffermare personalmente il sostegno americano alla postura di Riad contro Teheran. Anche tralasciando le parole di Haley, dal punto di vista regionale quel missile lanciato martedì rappresenta un attacco dei Guardiani contro il palazzo reale saudita ripreso dalle telecamere di una delle milizie che l’Iran usa come proxy per diffondere influenza nel Medio Oriente.