Tante, diverse guerre si combattano intrecciate tra loro in Medio Oriente. Ognuna ha obiettivi tattici diversi, nel breve termine, dal controllo di una frazione di territorio al mutamento di un regime di governo, o di un governante; dall’imposizione di una ortodossia religiosa ovvero di una supremazia etnica sino al più classico mutamento di frontiere nazionali. Tali obiettivi sono quasi sempre in contraddizione tra loro.
Tuttavia queste guerre sembrano avere anche un comune obiettivo strategico, di lungo termine: l’imposizione di un nuovo ordine a tutto il Medio Oriente e, grazie a ciò, la conquista della leadership di tutto l’Islam. Una ambizione enorme, che sembra animare tutti i principali contendenti, rispetto alla quale però i mezzi a loro disposizione sono inadeguati, insufficienti o inadatti.
Questo ambizioso obiettivo è più politico ed ideologico che territoriale, ma nessuno dei contendenti, ad oggi, sembra avere la capacità di coagulare il largo consenso transnazionale e interetnico essenziale per instaurare un vero nuovo grande ‘califfato’, o comunque lo si voglia chiamare, in grado di governare il consenso della grande maggioranza del mondo islamico.
L’INTRECCIO DELLE ALLEANZE SCIVOLOSE E CONTRADDITTORIE
Al contrario, questa ambizione si spezzetta in mille rivoli e mille diverse tattiche, a seconda di chi la attua e di dove opera, moltiplicando ed esasperando le sue interne contraddizioni. Così, ad esempio, la Turchia si ritrova con la Russia, l’Iran e Bashar al-Assad: tre alleati che non ama e che non la amano.
L’Arabia Saudita invece va di conserva con l’Egitto (che però è costretta a ricomprarsi a suon di miliardi ad ogni piè sospinto), con un’Amministrazione americana di dubbia affidabilità e addirittura con Israele, malgrado la ‘dissacrazione’ di Gerusalemme, per cui i Guardiani delle due Moschee si espongono all’accusa di abbandonarne una terza di non minore importanza e santità. Per di più i sauditi non riescono neanche ad assicurare la loro leadership su tutti i piccoli emirati della loro penisola e sullo Yemen. Una efficacia quanto meno scarsa.
L’Iran è anch’esso alle prese con strani compagni di letto, dalla Turchia alla Russia, che potrebbero includere, a seconda degli sviluppi, anche la Corea del Nord o la Cina, e deve trovare il modo di consolidare la sua presa su paesi scivolosi e difficili, come l’Iraq o la Siria.
LA RUSSIA VUOLE FARE IL PIVOT, GLI USA NON HANNO UN DISEGNO
La Russia cerca di profittare dell’assenza strategica americana per candidarsi come nuovo “pivot” del Medio Oriente, giocando sulla sua presenza in Siria, sulla ripresa di buoni rapporti con l’Egitto, sulla collaborazione diplomatica e commerciale con Turchia e Iran e sulla collaborazione in campo energetico con l’Arabia Saudita.
Ma ha risorse limitate e importanti fronti ancora aperti in Europa, dall’Ucraina al Caucaso (oltre a dovere gestire il suo delicato ruolo di junior partner con la Cina). Può farcela sino a quando non dovrà affrontare una sfida maggiore, ma quanto durerà il suo attuale stato di grazia, concessole dalla prudenza militare di Barack Obama e dall’inconsistenza strategica di Donald Trump?
Gli Stati Uniti stanno rapidamente trasformandosi da “potenza indispensabile” in “potenza maverick”, cane sciolto, occasionale ed erratica, le cui mosse possono ogni volta scompigliare tutte le carte in tavola, ma priva, almeno per ora, di un disegno strategico. Per cui possono allearsi con i sauditi, attaccare l’Iran, lanciare il sasso di Gerusalemme, ma non far seguire a queste mosse altre azioni che ne rafforzino, prolunghino o correggano l’impatto iniziale. Nella continuità, gli Usa sembrano contenti di ridursi a distributori di raid aerei e dispensatori di attacchi missilistici nelle guerre in atto, con risultati complessivi piuttosto dubbi e resa certamente scarsa.
LA CINA ATTENDE, L’EUROPA RIMANE ASSENTE
In tutto questo (e facendo salva la Cina, che ancora non sembra avere deciso cosa fare e se fare qualcosa in questa regione), rimane assente l’Europa, rappresentata solo da ridotte presenze delle sue maggiori potenze, in chiave però strettamente nazionale. Eppure i nostri Paesi sono anche i più interessati a che questa regione si sviluppi in modo pacifico e ordinato.
Certo aumenta la presenza europea in Africa, ci sono posizioni comuni sia sul nucleare iraniano che su Gerusalemme e a volte ci sono iniziative diplomatiche interessanti, come quella condotta dal presidente francese Emmanuel Macron sul Libano. Servirebbe però una strategia che mettesse assieme questi frammenti decisionali, dando un ruolo politico significativo all’Europa nei confronti sia del Medio Oriente che dell’insieme delle popolazioni islamiche.
Attualmente l’Europa guarda a questi Paesi secondo tre ottiche prevalenti: la lotta al terrorismo, la sicurezza energetica e il controllo dei flussi migratori. È necessario superare questi, pur importanti, approcci settoriali per guardare all’insieme dei conflitti e delle guerre in atto e cercare di rafforzare e stabilizzare una coalizione attorno alla quale fare ruotare tutti gli altri problemi locali. Questo sta tentando di fare la Russia, ma l’Europa non può certo delegarle il suo futuro.
(Pubblichiamo l’analisi dell’Istituto Affari Internazionali)