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Le parole e l’etica. Se Trump abbatte il politicamente corretto

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Ha fatto scalpore la notizia giunta Oltreoceno. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha proibito alla massima autorità statunitense, il Center for Disease Control and Prevention, di utilizzare alcune parole nei documenti ufficiali della sanità statunitense: vulnerabile, diritto, diversità, transessuale, feto.

La giustificazione è stata secca e inequivocabile: “si consiglia di utilizzare parole basate solo sulla scienza in considerazione degli standard e dei desideri della comunità”.

Le reazioni, com’è logico, non si sono fatte attendere, sia negli States e sia in Europa. C’è chi ha parlato di un ritorno al medioevo e chi vi ha visto soltanto uno stratagemma tattico del presidente per compiacere i settori più conservatori della società americana, i quali hanno certamente contribuito ad eleggerlo e sostenerlo.

Il Washington Post ha spiegato che in buona sostanza l’idea è di bandire termini equivoci dal vocabolario scientifico, sebbene non sia così facile sostituirli con analoghe espressioni “neutre”.

Al di là di una polemica che al solito rischia di diventare sterile e violenta, qui al fondo vi sono due motivazioni reali: la prima riguarda l’ideologizzazione pseudo scientifica che spesso, troppo spesso, s’innesta all’interno di questioni che invece hanno una matrice etica fondamentale.

La seconda, più politica, di polemica contro la volontà di imporre un certo standard relativistico attraverso l’uso di giustificazioni che si palesano come scientifiche, ma che di fatto rispondono ad esigenze, non discuto se giuste o no, che tuttavia non sono per nulla universali.

La linea Trump può non piacere, ma di sicuro non manca di coraggio e di coerenza rispetto a quanto aveva manifestato agli americani durante la dura campagna elettorale contro Hillary Clinton. D’altronde non sembrerebbe molto lineare e onesto ritenere che la differenza sessuale sia un dato naturale della persona, che la vita umana costituisca un presupposto assoluto e intangibile e che la famiglia procreativa è un fondamento ontologico della socialità umana, e poi accettare che si legiferi in senso contrario dappertutto.

Per la nostra mentalità sempre aperta al compromesso anche su queste questioni, la posizione molto intransigente della destra americana appare oscurantista e ignobile. Ma non è così, invece, per molti americani che preferiscono la coerenza in politica tra quello che si dice e quello che si fa.

Si sa che l’etica è sempre stata e resta al centro della distinzione odierna tra conservatori e progressisti. Ed è arcinoto che queste tematiche sono divisorie e antipatiche da puntellare.

Quello che risulta meno accettabile è invece che si dica sempre che una ha legittimità morale, quella che sostiene diritti individuali assoluti, e l’altra invece sia immorale, perché si avvale di una visione non solo soggettiva ma anche oggettiva e consolidata della persona umana.

L’aspetto che comunque deve far riflettere è che molto spesso dal punto di vista mediatico non sia politically correct affermare una distinzione tra quanto attiene alla sfera umana comunemente intesa e le etichette che attribuiamo a scelte sessuali individuali.

La scommessa di Trump riguarda qui quello che la maggioranza delle persone pensa e non dice, rispetto a quello che invece si deve dire perché altrimenti si è considerati antimoderni.

In realtà tra negare un diritto e ideologizzarlo c’è sempre di mezzo un interesse, il quale, da questo punto di vista, non è diverso da un altro opposto e contrario. E Trump e la destra americana sostengono il proprio, a favore di vita, persona, differenza sessuale e procreazione.


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