Ogni anno in Italia i veicoli dismessi generano circa un milione di tonnellate di rifiuti. Secondo la normativa nazionale ed europea, al 2015 bisognava raggiungere l’ 85% degli obiettivi di riciclo e il 95% del recupero complessivo. Il nostro Paese è fermo a poco meno dell’85% del recupero: dieci punti percentuali in meno. Un’accelerazione al raggiungimento dei target potrebbe venire dal recupero del cosiddetto “car fluff”, ossia la frazione leggera che deriva dalla frantumazione delle autovetture, che costituisce il 20% e che ancora viene smaltita in discarica. Le soluzioni esistono, così come esistono margini di miglioramento delle tecnologie disponibili.
Se ne è parlato a Roma, ieri, alla presentazione di uno studio, effettuato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile per conto dell’Associazione Industriale Riciclatori Auto.
“È necessario partire da questo studio – ha dichiarato Mauro Grotto, presidente di Aira – per affrontare sin da subito questi problemi. A partire dal 2018 il modello di governante della gestione dei veicoli fuori uso dovrà essere aggiornato. Le proposte di riforma oggi in discussione impongono il rispetto dei criteri minimi in tutti gli Stati membri e dispongono che ad essi debbano adeguarsi anche i produttori di veicoli. La nostra Associazione è pronta a farlo e a collaborare con l’intera filiera per raggiungere quegli standard che l’Europa ci impone”.
Il primo passo da fare, suggerisce lo studio, è far sì che l’intera filiera rispetti quanto previsto dal Decreto Legislativo 209/2003, con il quale il nostro Paese ha recepito la direttiva europea del 2000 sui veicoli fuori uso, durante le varie fasi del trattamento, dalla messa in sicurezza alla demolizione e alla frantumazione. Tutte le operazione relative alla messa in sicurezza del veicolo, lo smontaggio delle componenti riutilizzabili, la rimozione degli pneumatici, della plastica, dei vetri e del catalizzatore sono operazioni che devono essere eseguite presso l’impianto di demolizione. Dalle successive operazioni di frantumazione di genera il car fluff. Oggi in Italia è più conveniente smaltirlo in discarica piuttosto che presso gli impianti dedicati, anche per le difficoltà legate all’accettazione degli stessi impianti da parte delle comunità locali: il solito noto problema italico della sindrome Nimby: not in my back yard, non nel mio cortile. Secondo l’ultimo Rapporto dell’Ispra sui rifiuti speciali, gli impianti di demolizione in Italia, al 2015, sono 1.533 (il 44% al Nord, il 19% al Centro e il 37% al Sud).
Il Capo della Segreteria Tecnica del ministro dell’Ambiente, Carlo Maria Medaglia (nella foto), ha ricordato le decisione positiva assunta dal ministero rispetto al quesito posto dall’Associazione relativo (e qui entriamo nel tecnicismo) alla possibilità di utilizzare alcuni specifici codici per i rifiuti delle auto demolite. Il Comitato ministeriale si è espresso favorevolmente al quesito posto dall’Aira.
Per quanto riguarda, inoltre, un aiuto al raggiungimento degli obiettivi di legge, una soluzione potrebbe venire dai cementifici, come avviene in Spagna, Belgio e Scandinavia. Anche se con alcune indicazioni per quanto riguarda la riduzione di alcune sostanze che potrebbero rappresentare un problema per il prodotto finale.
Va ricordato, inoltre, come ci informa l’ultimo rapporto Istat, che il parco circolante in Italia nel 2015 era di oltre 41 milioni di veicoli, con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. Nello stesso tempo l’età media delle autovetture è cresciuta, anche a causa della crisi economica, portando l’età media a 12 anni. Dai dati dell’Aci risulta che, sempre nel 2915, la rottamazione ha riguardato circa 900 mila veicoli, mentre circa 400 mila sono state le autovetture esportate.