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Amazon (ma non solo). Ecco perché sta affondando la grande distribuzione americana

Gli americani lo chiamano retail Apocalypse. E forse hanno ragione, perché quello che sta colpendo il commercio al dettaglio statunitense è qualcosa di mai visto. Il fatto è che da un paio di anni una crisi senza precedenti sta decimando la grande distribuzione a stelle e strisce, con decine di marchi e catene che chiudono i battenti. Dagli storici magazzini Macy’s, a Sears, a Gymboree, a Guess fino al colosso del ludico, Toys R Us. Che cosa sta succedendo?

LE CIFRE DELL’APOCALISSE

Il polso della situazione sulla grande distribuzione è arrivato grazie a un report di Cushman&Wakefild, colosso americano dell’immobiliare, che ha fatto il conto della crisi che ha investito i retailer statunitensi. Nel 2017 hanno chiuso circa 10 mila spazi commerciali, di varia dimensione, mentre i centri commerciali che hanno cessato le attività per provare e riconvertirsi sono stati 300. Poco meno di 50, invece, le catene che hanno presentato istanza di fallimento. Quest’anno, se possibile, andrà ancora peggio. Sempre secondo la società immobiliare, nell’anno appena iniziato il numero di magazzini che chiuderanno i battenti salirà del 33% rispetto al 2017 superando quota 12 mila. Una crisi che non risparmierà nemmeno il settore immobiliare, dal quale è partita la grande crisi nel 2007, visto che con la cessazione dell’attività retail decine di locali si ritroveranno sfitti.

CHI CHIUDERÀ NEL 2018

Quest’anno, come si evince da una tabella del report, Macy’s chiuderà altri 30 punti vendita, che si sommano ai 68 chiusi nel 2017, mentre Walgreens, retailer della farmaceutica, ne chiuderà addirittura 600, mentre Toys R Us dismetterà circa 200 punti vendita. Non andrà meglio per Sears Holding, gigante distributivo americano, che ha annunciato la chiusura, dopo Natale, di altri 63 negozi (45 Kmart e 15 Sears).

COLPA DI AMAZON (O NO?)

Fin qui le cifre e le previsioni sulla grande distribuzione. Ma perché tutto questo? Il pensiero non può che correre subito all’e-commerce, ovvero Amazon, ma anche il concorrente cinese Alibaba, fresco di altolà degli Stati Uniti all’acquisizione di Moneygram. Eppure ad oggi l’e-commerce copre poco meno del 10% dell’intero mercato americano. E allora? Una risposta l’ha data Bloomberg, in un recente studio. I debiti. Il fatto, dice lo studio, è che per soddisfare la domanda crescente negli anni scorsi le grandi catene hanno contratto giganteschi prestiti per incrementare la propria struttura commerciale e ora, un po’ per il commercio online un po’ per il cambio di abitudini di certe fasce sociali, annaspano. Per questo il titolo del report Bloomberg sentenzia: “l’apocalisse del retail è appena iniziato”.

LA SCURE DI STANDARD&POOR’S

Forse allora non è un caso se ado oggi numero dei retailer americani con un rating CCC, quindi con un livello di debito ad alto rischio (o junk bond, spazzatura), è raddoppiato dall’inizio dell’anno, toccando il 18%. A dirlo è un report di Standard & Poor’s che spiega come il settore non abbia ancora trovato una risposta efficace al mutamento dei modelli di shopping. Un rating CCC, nello spiecifico, indica che i titoli di debito di un’azienda non sono più affidabili, e quindi mancare il rimborso, soprattutto in caso di condizioni economiche sfavorevoli.

 

 

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