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Mattis alza il livello di confronto sul Mar Cinese Meridionale

Da quando l’amministrazione Trump ha presentato il nuovo il piano strategico per la sicurezza nazionale, in cui la Cina è stata classificata come “rival power” strategica, Washington ha iniziato a dare una stretta più concreta alle politiche nei confronti di Pechino – seguendo l’onda, finora più che altro retorica, spinta dal presidente Donald Trump fin dai tempi della campagna elettorale.

Dopo l’annuncio delle prime mosse commerciali, con i dazi sulle importazioni dei pannelli fotovoltaici (un mercato in cui la Cina è in testa ai rivenditori mondiali), in questi giorni è arrivato un richiamo severo che sposta l’asse del confronto sul piano geopolitico (e pure militare). Il capo del Pentagono James Mattis, è stato in Vietnam e in Indonesia, entrambi ai ferri corti con Pechino per le dispute territoriali nella nevralgica regione marittima del Mar Cinese Meridionale. E ha sostenuto le posizioni degli alleati americani in contrasto con la Cina. (Escluse dal tour strategico le Filippine, alleato storico americano appeso da tempo alle stesse questioni territoriali con i cinesi, ma guidate dal problematico presidente Rodrigo Duterte, che sta lentamente spostando l’asse di Manila verso un accomodamento con Pechino).

Per esempio, a Giacarta Mattis ha elogiato gli indonesiani come “fulcro” delle rotte regionali, avallando la decisione del governo locale di rinominare le aree marittime rivendicate dalla Cina vicino alle isole Natuna come “Mare del Nord Natuna”. L’area è ricca di energia e si trova nella zona economica esclusiva (Zee) indonesiana (da qui la scelta toponomastica), ma si sovrappone anche alla rivendicazione espansiva della Cina. A conclusione dei tre giorni di visita di Mattis, il dipartimento della Difesa americano ha diffuso una nota in cui comunicava “il grande successo” degli incontri e faceva sapere che Washington e Giacarta avevano firmato un accordo per aumentare la collaborazione per la sicurezza marittima. Un messaggio rivolto anche a Pechino, chiaramente.

Stesso iter – e stesso simbolismo – hanno avuto i meeting in Vietnam. Hanoi considera l’America come un contrappeso cruciale alle ambizioni marittime cinesi nelle acque adiacenti alla proprie Zee anche perché, spiega l’Asia Times, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) non è riuscita a prendere una posizione più dura sulle dispute e soprattutto non sta maturando una postura collettiva, dato che alcuni paesi membri non vogliono indispettire la Cina (nel documento strategico per la National Security sopra citato, la Cina è anche definita come una potenza che “usa l’economia predatoria per intimidire i suoi vicini mentre militarizza le caratteristiche nel Mar Cinese Meridionale”).

In Vietnam (dove probabilmente a marzo dovrebbe fare scalo una portaerei americana col suo gruppo da battaglia, per la prima volta dopo la guerra) Mattis ha rimarcato la necessità di “libera navigazione” nelle acque del Mar Cinese Orientale. Washington ha più volto fatto solcare quelle rotte da navi da guerra, sottolineando il diritto internazionale alla navigazione in quelle acque. Queste attività, ufficialmente fatte passare nell’ambito del business as usual delle attività di sicurezza e monitoraggio marittimo, sono in realtà un gioco di nervi con Pechino, che detesta la presenza militare americana nel Pacifico in generale, e ritiene un affronto il passaggio di queste imbarcazioni armate all’interno di un proprio affare (la rivendicazione territoriale su quelle acque).

L’ultimo passaggio, in ordine cronologico c’è stato una settimana fa, quando il cacciatorpediniere “USS Hopper” ha fatto rotta nel raggio di 12 miglia nautiche della Scarborough Shoal, isole che la Cina rivendica e che dal 2012 sono tra quelle in cui Pechino ha spinto la militarizzazione attraverso imponenti opere infrastrutturali, rubando spazi al mare per piantarci sopra basi militari via via più imponenti. Gli Stati Uniti da tempo denunciano apertamente quest’aggressività cinese, bilanciandola con i passaggi dei pezzi migliori della Settima Flotta.

La linea cinese è, come spesso accade, dettata dal principale organo stampa ufficiale del partito, il People’s Daily, che in un editoriale ha scritto: “Se [l’America] ancora una volta fa guai dal nulla e causa tensioni, non farà che portare la Cina a questa conclusione: per proteggere seriamente la pace nel Mar Cinese Meridionale, la Cina deve rafforzare e accelerare la costruzione delle sue capacità lì”. L’amministrazione Trump ha rinfrescato le regole militari dando maggiore libertà d’azione ai comandi strategici: ora per esempio PaCom (il comando del Pacifico) non deve più chiedere l’autorizzazione esplicita della Casa Bianca – come invece succedeva sotto Barack Obama – per compiere quelli che in gergo tecnico vengono definiti Fonop, Freedom of Navigation Operations, i passaggi in navigazione libera su quei tratti di mare (che, come detto, sono parte integrante del nuovo atteggiamento aggressivo verso Pechino).

 

 

 


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