È iniziato a metà gennaio con l’assise regionale della Basilicata il “tour” congressuale della nostra organizzazione che si concluderà con l’appuntamento nazionale dal 17 al 19 aprile al Lingotto di Torino. Al Museo dell’Automobile nel capoluogo piemontese, la Uilm svolgerà un dibattito basato su analisi storica, azioni da compiere, scelte da fare, posizionamento in prospettiva. Lo abbiamo detto e scritto più volte, ma vale la pena di ripeterlo. Il nostro impegno rimane quello di garantire il lavoro e le produzioni all’interno del Paese. Al nostro congresso di Reggio Calabria, svolto quattro anni fa abbiamo promesso che avremmo rinnovato i contratti. Siamo riusciti in questo intento. Ora dobbiamo riuscire nell’impegno di questa nuova tornata congressuale. Chi prima inizia è a metà dell’opera.
Da questo mese fino a quello di aprile misureremo lo stato di benessere della Uilm. Lo possiamo anticipare fin d’ora: godiamo di ottima salute, ma la fase che caratterizza questo tempo è assai difficile. Esiste il concreto rischio di opportunità mancate, perché è come se le principali forze presenti nel Paese volessero condividere le condizioni di un arretramento, anziché gestire i presupposti per determinare una crescita. Il sindacato, in questo contesto, ha detto no alla riduzione dei diritti e per questa azione si è reso scomodo ed è stato attaccato da più parti. Ma ha resistito a questa offensiva ed ha esercitato il proprio ruolo tradizionale.
Noi metalmeccanici abbiamo fatto da apripista rinnovando a novembre del 2016 il Contratto nazionale, attraverso un’intesa unitaria e garantendo l’assistenza sanitaria e quella previdenziale, entrambe integrative ai lavoratori e alle loro famiglie. Un successo che è alla base della nostra esistenza nei luoghi di lavoro. L’intesa per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici è stata una vera e propria impresa portata a compimento in modo unitario dal sindacato. Gli effetti benefici si sono riversati positivamente sull’economia, soprattutto sul versante dei consumi interni e sulle ricadute positive riguardanti il sistema delle relazioni industriali. Ora, più che mai, sono altrettanto necessari investimenti mirati all’industria perché si realizzi una concreta ripresa. Soprattutto il Meridione ha bisogno di una scossa utile alla crescita economica che sarà possibile solo se si riusciranno ad utilizzare i fondi comunitari 2014-2020, le risorse del Fondo sviluppo e coesione, le disponibilità dei Patti sottoscritti con le regioni del sud e le città metropolitane e tutti gli altri interventi nazionali in corso o programmati nelle aree del Mezzogiorno. Occorre non solo potenziare, ma utilizzare al meglio tutte le risorse possibili da investire possibilmente a favore del settore manifatturiero. Siamo convinti, come lo sono autorevoli esponenti del governo in carica che se la leva degli investimenti fosse pienamente utilizzata la nostra crescita, sia congiunturale sia strutturale, sarebbe molto più elevata.
I dati segnano un futuro di opportunità da cogliere. Basta guardare gli investimenti riguardanti l’Italia della Bei. Il 2017è stato l’anno che ha segnato il record di finanziamenti, con l’Italia primo Paese beneficiario in Europa della finanza del gruppo in questione. Ben 119 operazioni per 12,3 miliardi di nuova finanza (+10% rispetto al 2016), pari allo 0,7% del Pil; 10,8 miliardi di prestiti Bei e 1,5 miliardi di garanzie ed equity Fei; valore complessivo degli investimenti sostenuti 41,9 miliardi (26,2 Bei e 15,7 Fei), pari al 2,4% del Pil; totale impieghi Bei in Italia a fine 2017 67,22 miliardi; nell’ambito del Piano Juncker, da aprile 2015 6,6 miliardi di prestiti e garanzie per 37,2 miliardi di investimenti attivati in Italia. Nel 2017 l’attività della Bei ha riguardato 39.700 Pmi con 542.500 relativi posti di lavoro sostenuti dal Gruppo. Negli ultimi 10 anni, dal 2008 al 2017, la Banca europea degli investimenti in Italia ha iniettato nuova finanza per 100 miliardi, sostenendo investimenti del valore di oltre 270 miliardi. Grazie a 5,3 miliardi di prestiti e garanzie sono state sostenute in Italia nel 2017 39.700 Pmi e 542.500 relativi posti di lavoro. Negli ultimi 10 anni, 39,4 miliardi di prestiti e garanzie hanno sostenuto 210 mila Pmi e oltre 6 milioni di posti di lavoro in Italia. Una marea di risorse che purtroppo non basta a dispiegare gli effetti di una vera e propria politica industriale.
I metalmeccanici, da parte loro, hanno determinato azioni concrete, come l’epilogo positivo a livello contrattuale. Tra i tanti punti positivi relativi alla suddetta intesa, val la pena ricordare ancora una volta il tema della formazione. È proprio qui che si gioca il rapporto tra aziende e sindacato. Infatti, il contratto nazionale dei metalmeccanici prevede il riconoscimento del diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione permanente. Ciò significa che i dipendenti che non saranno coinvolti dalla propria azienda in specifiche attività di formazione professionale avranno diritto, nel triennio contrattuale, a 24 ore di formazione extra-aziendale per due terzi a carico delle aziende, con un contributo dell’impresa che potrà arrivare fino a 300 euro. Sulla partita della formazione e delle competenze bisogna attuare un lavoro più capillare, in modo che in tutti i rapporti di lavoro la formazione possa entrare in maniera seria in quantità e qualità. Ecco perché le imprese, soprattutto quelle industriali, devono essere messe in condizione di accedere all’innovazione, alla formazione e a nuovi sistemi di organizzazione del lavoro. È in questo ambito che può realizzarsi il primo passo di un nuovo cammino partecipativo del sindacato in azienda. Molte aziende in ambito nazionale hanno già imboccato la strada della formazione dei lavoratori, quella delle innovazioni tecniche ed organizzative. Si tratta di una scelta realizzata col sostegno attivo delle parti sociali, attraverso pratiche virtuose e prevalentemente bilaterali. Insomma, il diritto soggettivo alla formazione, riconosciuto in azienda, può rivelarsi il “passepartout” per un futuro industriale che riesca a contare in investimenti pubblici e privati. Bisogna difendere gli investimenti assicurati al manifatturiero ed al mondo siderurgico in particolare.
Mentre leggerete queste righe saremo seduti al tavolo di confronto al dicastero dello Sviluppo per assicurare un futuro all’Ilva. Abbiamo compiuto iniziative analoghe per i gruppi Alcoa, Aferpi ed Arvedi. Ma la prospettiva del gruppo Ilva ci preoccupa fortemente. Come sindacato continuiamo a ripetere che il negoziato tra le parti deve andare avanti ad ogni costo affinchè ci possa essere un domani industriale ed ambientale per il più grande gruppo siderurgico presente nel Paese. Occorre far progredire il negoziato su Ilva per evitare colpi mortali alla siderurgia nazionale e in modo particolare al distretto produttivo di Taranto. Senza acciaio prodotto in Italia crolla la produzione manifatturiera dell’intero Paese con possibili ricadute negative sull’intera economia italiana. Quindi, occorre prodigarsi a favore di un confronto costruttivo per assicurare investimenti industriali per 1,2 miliardi di euro, ambientali per 2,3 miliardi e la tutela di circa 20mila posti diretti ed indiretti nel gruppo in questione. Ribadiamo tutta la nostra disponibilità a ricercare responsabilmente un accordo che tuteli occupazione, produzione e salvaguardia ambientale per il bene del Paese. Il sindacato metalmeccanico in questa vicenda sta esercitando un ruolo lungimirante che punta a determinare prospettive per il futuro utili all’intera industria nazionale. Un Paese industriale non può fare a meno della siderurgia, a partire dal gruppo Ilva.