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Pericoli e contraddizioni nella chiesa di oggi e di domani. I libri di Valli e Grasso

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I segni sono inquietanti. Il disorientamento crescente. Le incertezze interpretative su atti e comportamenti delle gerarchie gettano nello sconforto i fedeli sempre più distaccati, mentre le vocazioni religiose toccano livelli minimi che l’accorpamento delle diocesi certifica inconfutabilmente. La Chiesa cattolica vive uno dei momenti più difficili della sua bimillenaria storia. Inutile nasconderselo o fare finta di niente. Il pontificato di Jorge Mario Bergoglio segna il passaggio – non sappiamo dire oggi quanto traumatico – da una Chiesa nella quale la centralità del sacro era riconosciuta, sia pure accompagnata da molti “distinguo” dopo gli esiti del Concilio Vaticano II, ad un’altra che si caratterizza e viene percepita sempre di più come una sorta di “ospedale da campo”, nella quale il “sociale” ha fatto irruzione nella dimensione religiosa fino, in alcuni casi, a snaturarla. La liturgia è la prima e più evidente vittima di questa “separazione” tra le due Chiese. Gli atteggiamenti e le divisioni nella Curia e le dispute che emergono nel collegio cardinalizio non fanno altro che accentuare le differenze nel corpo vivo della comunità cattolica, apostolica e romana.

Se la pietra dello “scandalo” per molti è stata l’Amoris letitia, per altri – che sarebbe improprio definire minoranza dissidente – è il complessivo atteggiamento della Chiesa come istituzione temporale a destare allarmi che tengono in apprensione il popolo di Dio, almeno quello che con evidente fastidio osserva il progressivo decadimento delle “ragioni non negoziabili” per essersi le sue strutture e gli uomini che le guidano votati ad inseguire la modernità, a farsene parte. Nell’intervista, dolente e appassionata a Peter Seewald, Ultime conversazioni, Benedetto XVI ha detto: “È palese che i nostri principi non coincidono più con quelli della cultura moderna, che la struttura fondamentale cristiana non è più determinante. Oggi prevale una cultura positivista e agnostica che si mostra sempre più intollerante verso il cristianesimo”. Da questa tragica e terribile constatazione di Joseph Ratzinger prende le mosse Aldo Maria Valli, uno dei più lucidi e penetranti “vaticanisti” italiani, per raccontare, come se fosse una fiction dalle tinte fosche, il declino della cattolicità nell’illuminante pamphlet edito da Liberilibri Come la Chiesa finì (pp.154, € 16,00).

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Autore di un altrettanto coinvolgente saggio, pubblicato un anno fa dallo stesso editore, Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P., Valli assume la “profezia” del Papa emerito per svolgere la pellicola della devastazione della Chiesa fino al pontificato di Francesco XXX quando la dissoluzione dell’istituzione fondata da Cristo ed affidata a San Pietro si compie nel modo più completo dopo essere passata dai vari stadi che, secondo l’autore, sarebbero fisiologicamente coerenti con le premesse che attualmente informano la vita della Chiesa.

Fingendosi “Cantore cieco”, Valli s’indirizza al lettore paventando pericoli per la sua stessa incolumità dal momento che polizie agguerritissime sono all’opera per negare a chiunque osi opporsi alle “verità” di quella che non si chiama più Chiesa cattolica ma “Chiesa accogliente”, dotata di un suo vocabolario, di una sua prassi, di sue forme, perfino di suoi riti: un nuovo patrimonio che nulla ha a che vedere con quello che ha caratterizzato la “Chiesa di sempre”. L’obiettivo di questa Chiesa, da Francesco II all’ultimo – del quale non diremo la sorte che avrà – è quella di cercare il dialogo, ma non per fare proselitismo. Lontana da ogni proposito di evangelizzare le genti intende adeguarsi al mondo, alle sue storture, incamminandosi insieme con altri movimenti pseudo-religiosi verso la costruzione di una “fratellanza” (che tanto fraterna poi non è) nella quale l’indistinto, l’indifferenziato possano convivere nella gioia senza fondamento. Una Chiesa, racconta il Cantore cieco, una specie di Omero dell’avvenire, nella quale Dio è sostanzialmente sparito e l’uomo nella sua solitudine non è neppure più consapevole di farne a meno tanto si è adeguato ai principi che gli sono stati inculcati dalla progressiva involuzione di quella Chiesa cattolica incamminatasi “lungo una strada segnata dal costante tentativo di rendersi sempre più dialogante, benevola e amica del mondo”. Il fine, scontato, non può che essere il rinnegamento del cristianesimo stesso diventato una miscela insapore e irriconoscibile. “A forza di diluire e annacquare – si legge -, la Chiesa si condanna all’irrilevanza. Un dramma non solo per i credenti, ma per l’umanità intera: con la Chiesa, infatti , cade l’ultimo bastione in grado di difendere la libertà e opporsi al pensiero unico”. Quel pensiero che Valli sottopone ad una critica serrata, colta, puntuale, a volte ricorrendo alla finzione grottesca, all’ironia intelligente, al sarcasmo rivolto contro riconoscibilissime figure della Chiesa contemporanea, la cui invasiva penetrazione in quello che un tempo era considerato “Corpo mistico” ha snaturato il cristianesimo a beneficio di un laicismo arrogante e totalizzante, di stile giacobino.

Le pagine di Valli, che si leggono con crescente interesse man mano che il “memoriale” rivela il “mondo che verrà”, non andrebbero sottovalutate. Esse non sono soltanto il frutto degli accadimenti analizzati da un acuto giornalista, ma di una meditazione teologica e filosofica sulle conseguenza della modernizzazione che a guisa di “fumo di Satana”, come diceva Paolo VI, si è insinuata nella Chiesa e c’è chi dispera si possa arginare anche perché la “confusione” è talmente alta da asseverare quanto Valli sostiene e cioè che il “tradimento” finirà per consegnare la cattolicità nelle maini dei dominatori del mondo, dei costruttori di falsi miti che – ed è un aspetto che non ignoriamo – assumono giorno dopo giorno le fattezze di una vera e propria “religione”.

copertina 1Di tale confusione dà conto, con un agile e coinvolgente volumetto il giovane studioso Fabrizio Grasso. Riflettendo sulle dimissioni di Benedetto XVI l’11 febbraio 2013, ha scritto La rinuncia. Dio è stato sconfitto? (Algra editore, pp.70,€ 6,00)

nel quale, con accenti apertamente mutuati dall’opera e dal pensiero di Carl Schmitt, offre una riflessione sulla teologia politica improntata alla natura dell’autorità ed ai corollari che ne derivano. Ricordando il detto paolino “Non est potestas nisi a Deo”, Grasso ricorre a tutte le variazioni sul tema per giustificare l’unicità del potere nella sfera spirituale e del suo esercizio, mentre con la rinuncia al ministero petrino si è innovata (o snaturata) appunto la teologia politica che da duemila anni reggeva la Chiesa e per lungo tempo anche l’Impero.

Oggi, per quante precisazioni ed “aggiustamenti” si possano proporre, esistono de facto due Papi, uno volto alla gestione ed all’esercizio del potere della Chiesa, l’altro alla contemplazione ed alla preghiera per la Chiesa stessa: due figure che non si sovrappongono, ma delle quali è difficile se non impossibile prescindere anche nel riconoscerne la legittimità. Benedetto XVI è legittimo Papa in quanto legittimo Vescovo di Roma. E Francesco? Se il suo predecessore, per sua stessa ammissione non tornerà ad essere mai più Joseph Ratzinger, avendo stabilito di farsi chiamare “Sua Santità”, di continuare a vestire la talare bianca ed attribuendosi la carica di primo “Papa Emerito” della storia, il successore come deve essere considerato?

Un “pontificato d’eccezione” quello di Benedetto XVI: e qui ricorre la nozione schmittiana di “stato d’eccezione”. Pontificato assolutamente innovativo perché apre la strada a situazioni analoghe che potrebbero portare la Chiesa e la sua guida a percorrere strade che neppure osiamo immaginare ripetendosi, a seconda dei momenti storici, situazioni analoghe a quelle che hanno i determinato la rinuncia. E se, difatti, di Papi emeriti ce ne fossero più d’uno? Ecco: ritorna il problema dell’autorità. “E’ possibile – si domanda Grasso riprendendo alcune affermazioni di monsignor Gänswein, storico segretario di Ratzinger e prefetto della casa Pontificia (serve due Papi, insomma…) – che il papato istituito da Gesù Cristo possa essere stato riformato e addirittura allargato?” Ed “allargato” per poter contenere due membri, uno “attivo” l’altro “contemplativo”. Che Benedetto XVI non abbia abbandonato l’ufficio petrino lo conferma sempre l’autorevole monsignore che ribadisce come gli sarebbe stato impossibile avendo accettato l’elezione nel 2005, e ribadisce che ha soltanto rinnovato l’ufficio “con un atto di straordinaria audacia”.

La vicenda – teologica, politica, spirituale, filosofica – interroga il mondo cattolico più di quanto non sia accaduto finora. Grasso si domanda che cosa potrebbe accadere se un pontefice rinunciasse definitivamente a rappresentare Cristo. L’ipotesi “diventa concreta e possibile nella misura in cui il successore di Benedetto XVI potrebbe sentirsi sciolto dal vincolo a rappresentare Cristo, proprio in forza dell’insolita e ambigua rinuncia che pone le basi per quel dualismo che incrina il pathos rappresentativo del pontefice, vicario di Cristo”. Ecco, se questo si avverasse, gli scenari apocalittici descritti (o paventati) da Valli in Come la Chiesa finì potrebbero rivelarsi terribilmente veritieri. Una Chiesa sconfitta equivarrebbe a dichiarare la sconfitta di Dio e del mondo che nel suo nome si è formato. Una catastrofe dalle proporzioni inimmaginabili.


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