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Trump e la Russia? Predica bene, ma razzola meglio

Nei giorni in cui Donald Trump celebra il suo primo anno alla Casa Bianca la comunità dei think tank a Washington si concentra sulle decisioni presidenziali che più hanno caratterizzato i dodici mesi allo Studio Ovale, nell’intento di tirare un primo bilancio dell’era Trump e capire in che modo vada evolvendosi la posizione degli Stati Uniti sui temi di politica estera e sicurezza internazionale.

Tra le voci più autorevoli si segnala l’intervento dell’ambasciatore John Herbst, direttore dell’Eurasia Center all’Atlantic Council, che analizza il tema dei rapporti tra Usa e Russia e raffronta le posizioni del presidente in campagna elettorale con le policy implementate dall’amministrazione americana.

In un’analisi recentemente pubblicata su New Atlanticist il quadro che emerge è emblematicamente più complesso di quanto ci si potesse attendere all’inizio del mandato presidenziale: quello appena trascorso doveva essere l’anno di un’apertura senza precedenti a Mosca, l’anno del consolidamento delle simpatie personali tra Trump e Vladimir Putin e ancora l’anno del ritiro degli Usa dalla politica delle sanzioni tanto voluta dall’amministrazione di Barack Obama.

Nei fatti, afferma l’ambasciatore Herbst, i toni della campagna elettorale sono stati smorzati dal realismo dell’attività di governo e i propositi annunciati fuori dal palazzo hanno dovuto fare i conti con il peso del potere decisionale. Quella che doveva essere una posizione “più moderata” nei confronti dell’avversario storico degli Stati Uniti si è tradotta in una realpolitik fondata sul perseguimento degli interessi strategici, non sempre confluenti tra i due Paesi.

Di seguito esposti i fattori determinanti secondo l’analisi dell’Atlantic Council.

Una prima considerazione è indirizzata alla scelta dei collaboratori più vicini al presidente. A pesare tantissimo sulle decisioni di Trump è stato il supporto di figure fondamentali come il gen. H.R. McMaster, National Security Advisor del presidente, il generale John Kelly, capo dello staff della Casa Bianca, e (almeno nei primi mesi del 2017) Rex Tillerson, Segretario di Stato. Nella stragrande maggioranza dei casi, tutti o quasi hanno convenuto nel consigliare prudenza al presidente e smorzare gli entusiasmi per eventuali aperture ai russi. La vicenda delle sanzioni per l’intervento di Mosca nel Donbas in Ucraina è illuminante in questo senso.

A seguire, grande peso sulle policy adottate dall’amministrazione è da attribuire alla vicenda delle interferenze in campagna elettorale. Il tema è più vivo che mai e ancora oggi pesa su Trump come una spada di Damocle. L’indagine condotta dal procuratore speciale Robert Mueller continua ad avere un impatto schiacciante sulle politiche americane quando si affronta l’argomento Russia, tanto da un punto di vista istituzionale quanto da un punto di vista mediatico. La vicenda ha creato dei confini ben precisi e assai ristretti che ancora oggi limitano l’azione del presidente.

Terzo fattore da tenere in considerazione è la chiusura quasi totale sul tema da parte del Congresso. Tanto il partito repubblicano quanto il partito democratico si sono opposti, in diverse circostanze ai tentativi di far passare una politica di avvicinamento alla Russia. Da parte dei democratici, afferma Herbst, è prevalsa la linea che vede “il Cremlino dietro i tentativi di infangare la campagna di Hillary Clinton”. Un qualcosa di imperdonabile per la leadership di minoranza al Congresso. Trasversalmente, uguale linea politica è stata portata avanti dai repubblicani del GOP, tutti storicamente contrari alle aperture verso Mosca. Un tema che è, poi, utilizzato strumentalmente anche da quanti tentano in ogni modo di mettere in difficoltà Trump, nei confronti del quale sono risapute le numerose inimicizie all’interno della maggioranza.

Ultimo fattore determinante su questo anno di “realismo politico” nei rapporti con la Russia è stato il tema delle sanzioni. In un momento in cui il Congresso Usa, tra cui Iran e Corea del Nord, sarebbe stato assai difficile far passare la linea del passo indietro nei confronti di Mosca.

Tutte le circostanze riportate, secondo Herbst, hanno contribuito ad abbassare notevolmente le aspettative di quanti credevano in un ravvicinamento tra i due giganti. Il decisionismo della campagna elettorale di Donald Trump si è in definitiva scontrato con un realismo che ha anche largamente tradito le aspettative di Putin per questo anno appena trascorso.



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