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Caso Eni. Si scrive Turchia ma si legge Russia. Parla Arduino Paniccia

daghestan, Putin

Oltre lo schiaffo di Ankara all’Eni: la partita è tra Bruxelles e Mosca, ecco come sul gas nel Mediterraneo “da oggi cambia tutto, per l’Ue e per gli assetti futuri”. Così Arduino Paniccia, analista di strategia militare e di geopolitica e docente di Relazioni Internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche di Trieste, che ricostruisce “le movenze neo ottomane” della politica di Erdogan alla base dell’episodio Eni-Saipem e che si intrecciano con la mancata stabilizzazione istituzionale di paesi come Libia e Iraq e con la reale portata dello scontro che non è limitato a soli due paesi, ma tocca il prezzo del gas.

Come cambia, anche per l’Italia, la partita geopolitica legata agli idrocarburi dopo lo schiaffo di Ankara?

Non solo per l’Italia: quello scacchiere cambia del tutto da oggi. Cambia per l’Europa e per gli assetti del Mediterraneo orientale, un’area dove l’Italia ha comunque una sua sfera di interesse, tanto quanto la Turchia. Ankara considera quella porzione di mare nostrum, con tutto ciò che comprende, come una sua area di influenza diretta. Dietro le sue spalle vi sono anche i russi in questa nuova alleanza.

Tutto connesso quindi al problema del gas a Cipro, stato membro dell’Ue?

Sì ma è uno dei problemi in quella macroregione. La questione è molto più vasta, riguarda l’intero versante euromediterraneo, tocca l’Ue dietro le spalle dell’Italia e Mosca dietro le spalle di Ankara. Riduttivo inquadrarlo come uno scontro solo tra due paesi intorno ad un giacimento di gas. Concerne le linee economiche e strategiche dell’intero Mediterraneo orientale: quindi il problema è più vasto e lo sarà anche nell’immediato futuro.

Da escludere un passo indietro di Ankara?

Non recederà facilmente dal suo atteggiamento. Dobbiamo prepararci ad un grande braccio di ferro, intanto tra Italia e Turchia, ma poi in un ambito che diventa più vasto.

I tracciati dei gasdotti come si intrecciano a tale scenario?

Anch’essi riguardano il convitato di pietra che è dietro la Turchia, ovvero la Russia. Nel momento in cui parte un gasdotto che passa da Israele, Cipro, Grecia e arriva in Italia, tutti gli altri che passano per la Turchia verrebbero aggirati, perdendo di importanza. Inoltre, cosa che ai russi sta molto a cuore, il prezzo del gas per i paesi Ue potrebbe essere inferiore rispetto a quello praticato da Mosca.

Come giudica la reazione di Bruxelles, con le parole di Tajani?

Tardiva, perché da tempo i turchi avanzano pretese su quell’area. La questione relativa alla Repubblica turco cipriota autoproclamata da Ankara e non riconosciuta dall’Onu è stata per troppo tempo ignorata da Bruxelles che ha voltato la testa dall’altra parte. Ed oggi ne si pagano le conseguenze. Dal 1974 la zona nord dell’isola è ancora militarmente occupata dai turchi. Ma guardare altrove può andare bene fin quando il benessere copre tutto: va meno bene quando poi inizia la “lotta per il centesimo” sul gas. Da qui in avanti l’Ue si ritroverà ad affrontare quei dossier sui quali non è intervenuta in passato. Non è esattamente questo ciò che deve fare un’unione da 500milioni di persone.

La decisione di Trump di mollare il Mediterraneo per concentrarsi sul quadrante orientale ha influito su dinamiche e azioni?

E’il problema chiave che riguarda l’atteggiamento conseguente dell’Europa e della Turchia. Era da un pezzo che gli Usa, soprattutto dopo aver fatto la scelta dello shale oil, covavano questa deriva. La maggior parte di scelte simili hanno un substrato di natura economica, soprattutto oggi che non è più il tempo delle ideologie. Gli Usa oggi sono pari per export e produzione interna, e domani potrebbero essere esportatori netti di petrolio. Qui entrano in scena i turchi che, anziché fare i soldatini della Nato, hanno avviato con Erdogan una politica di stampo neo ottomana, con successi e insuccessi, ma perseguendo imperterriti sulla strada tracciata. Che passa anche per l’alleanza con Mosca, la quale ha ripreso lo spunto tanto caro alla vecchia Unione Sovietica di voler influenzare fortemente il Mediterraneo, arrivando addirittura a cercare basi in Libia. Se a questo quadro si somma la mancata stabilizzazione istituzionale di paesi chiave come Libia, Iraq e Siria allora lo scenario si delinea maggiormente in tutta la sua complessità.



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