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Vi racconto perché mi sono candidato con Forza Italia. Parla Cangini (ex direttore di Qn)

La mia prima impressione di questa campagna elettorale? Che sia davvero povera. I partiti stanno investendo pochi soldi. Il che obiettivamente non è un bene perché, fuor di demagogia, la politica è una cosa seria“. Dopo aver guidato per più di tre anni il Quotidiano Nazionale e Il Resto del Carlino, Andrea Cangini ha scelto: alle elezioni politiche in programma ormai tra un mese, sarà in lizza. Candidato al Senato con Forza Italia come capolista nel plurinominale delle Marche, regione alla quale è particolarmente legato e per il cui sviluppo – ha dichiarato in questa conversazione con Formiche.net – intende continuare a lavorare pure nella sua nuova vita in politica. La decisione di candidarsi – ci ha raccontato Cangini – “è arrivata più dall’istinto che dalla ragione: mi è stata fatta un’offerta direttamente da Silvio Berlusconi, non me l’aspettavo affatto ma ho accettato con convinzione. Ho sentito una sorta di richiamo e di dovere morale“. Anche perché nella sua lunga esperienza da cronista Cangini la politica l’ha sempre seguita assiduamente, seppur dall’altro lato della barricata: “Si figuri, non ero neppure mai stato iscritto a un partito politico in precedenza“. Ora, invece, potrà raccontarla direttamente dall’interno, al pari di molti altri giornalisti che allo stesso modo hanno deciso di presentarsi alle elezioni: da Emilio Carelli e Gianluigi Paragone in corsa con il MoVimento 5 Stelle a Tommaso Cerno e Francesca Barra candidati con il Partito Democratico, fino a Giorgio Mulè che gareggerà con Forza Italia in Liguria.

Cangini, i giornalisti in politica ci sono sempre stati: basti pensare a Eugenio Scalfari, Michele Santoro e, più recentemente, ad Augusto Minzolini. Ma non è che questa volta sono un po’ troppi?

Non sono affatto sicuro che sia un fenomeno in crescita. In apparenza sì ma nella realtà non credo proprio: sono enormemente di più gli avvocati o gli altri professionisti. Semplicemente i giornalisti sono spesso più noti e richiamano di più la curiosità dei media. Attenzione però: si può essere un ottimo imprenditore ma totalmente a digiuno di politica. Si presume invece che un giornalista, soprattutto se nella sua carriera si è occupato professionalmente di politica, offra qualche garanzia in più. Non è assoluta, ma un presupposto che può lasciar ben sperare.

Da giornalista fortemente radicato nel territorio marchigiano, quale contributo spera di poter dare nella sua nuova veste di senatore? Su cosa si concentrerà in particolare?

Vedo una totale continuità tra questi due ruoli. Continuerò a occuparmi di ciò di cui mi sono sempre occupato: in primo luogo intendo rappresentare al meglio le Marche che hanno moltissimo in termini di beni culturali e bellezze paesaggistiche e pochissimo in termini di infrastrutture, servizi e reti sul territorio. Questo è il mio principale obiettivo. C’è poi anche una specie di patriottismo ,per usare un termine antico. Se sarò eletto, interpreterò la mia nuova funzione come ho fatto finora con la professione di giornalista: lavorando al massimo e studiando il più possibile.

Ci racconta questa campagna elettorale dall’interno? La sua prima impressione?

Che sia davvero povera. E’ incredibile notare quanti pochi mezzi abbiano a disposizione i partiti. La prima cosa che mi ha colpito è quanto poco ci sia di sistema politico a garantire la campagna elettorale dei singoli candidati.

Questa, d’altronde, dopo decenni è anche la prima campagna elettorale che si svolge senza il finanziamento pubblico dei partiti. 

Ci sono pochi soldi, il che non è un bene obiettivamente perché, fuor di demagogia, la politica è una cosa seria. La politica siamo noi. I partiti sono lo strumento attraverso cui si fa politica e  si selezionano le élite del domani. Affamare i partiti vuol dire affamare la politica e, quindi, il Paese. Non è un modo molto lungimirante di procedere a mio avviso. Si strappa l’applauso nel presente ma si creano le condizioni per problemi crescenti nel futuro.

Contrario all’abolizione del finanziamento pubblico?

Sarei anche a favore di una totale privatizzazione dei costi dei partiti ma occorre che vi sia una cultura coerente con questo obiettivo: la verità è che noi italiani non ce l’abbiamo. Da noi il denaro è ancora lo sterco del demonio. Un gruppo industriale o un imprenditore che finanzia un partito viene guardato con sospetto. Occorrerebbe una profonda rivoluzione culturale. Guardi il sistema delle lobby: da noi è quasi una parolaccia mentre in altre parti del mondo hanno un ruolo importante e soprattutto riconosciuto.

La fine del finanziamento pubblico dei partiti e l’assenza di una regolamentazione del lobbying non rischia a suo avviso di creare un cortocircuito permanente con il pericolo di possibili strascichi anche giudiziari?

Sicuramente sì. La mancata disciplina del fenomeno lobbistico si spiega con l’alto tasso di ipocrisia che caratterizza il nostro dibattito pubblico. Da sempre e ancora di più nell’ultimo ventennio, dalla fine della Prima Repubblica in poi.

Senta, a vederla da fuori la convivenza tra Forza Italia e Lega sembra piuttosto complicata: su troppi temi pare non esserci identità di vedute. E’ stata un’alleanza forzata?

Forza Italia e Lega hanno sempre governato insieme e si sono sempre contesi un elettorato in buona parte affine. Non è strano che nella fase precedente le candidature – quando i due partiti dovevano misurarsi e spartirsi i collegi sulla base dei sondaggi – ci sia stato un surplus di conflittualità, proprio per far crescere i rispettivi consensi e ottenere quindi più collegi. Peraltro, è normale che in campagna elettorale possano divergere gli approcci anche perché sono partiti effettivamente diversi.

Quindi nessun problema?

Se ci sarà una maggioranza di centrodestra – ed io penso che ci sarà – sono sicuro che una mediazione politica sia già nelle cose. Ciò che è importante è spiegare ai cittadini che con questo voto si misureranno anche i rapporti di forza interni alle coalizioni. Quelle del 4 marzo non sono elezioni qualsiasi ma da ultima spiaggia, da ultimo appello per il Paese. Daranno vita a una legislatura da cui, se durerà, uscirà un quadro politico completamente diverso. Per questo è quanto mai opportuno, a mio avviso, che gli elettori votino con lungimiranza senza prestare attenzione alle sirene, a chi promette l’impossibile.

A proposito di promesse, però, anche da Forza Italia – oltre che dagli altri partiti – ne sono arrivate di altisonanti e forse irrealizzabili…

Le promesse si sono sempre fatte. Renzi non mi pare che stia promettendo meno di Berlusconi e il MoVimento 5 Stello lo stesso. Sono i fuochi artificiali di inizio campagna ma credo e spero che nel proseguo ci si attesterà su posizioni di maggior concretezza.

Tutti gli analisti concordano nel ritenere che dopo le elezioni del 4 marzo si navigherà a vista. E’ così anche secondo lei?

Dipende tutto dai rapporti di forza che si genereranno dopo il voto. In questa fase storica chi ha a cuore l’interesse e il futuro del Paese dovrebbe votare, come disse Montanelli negli anni ’70, “turandosi il naso“. E quindi i pilastri principali di ogni coalizione, per garantire stabilità dopo le elezioni. E’ importante che l’Italia abbia un governo il prima possibile dopo il 4 marzo. Perché ciò accada, bisogna che gli elettori di centrodestra indirizzino il loro voto a Forza Italia, così come riterrei logico che quelli di centrosinistra votassero il Pd nonostante Renzi.

Ma non è che così, di questo passo, finirete davvero per fare il governone Forza Italia-Pd di cui tanto si rumoreggia?

Ho sufficiente esperienza diretta per dire che quasi mai le prospettive accreditate dai media prima di un evento storico poi si realizzano. Questo continuo parlare di larghe intese non porterà alle larghe intese. Ci sono tutte le condizioni perché il centrodestra vinca le elezioni. Dobbiamo concentrarci unicamente su questa prospettiva.

 

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