“Siamo già cittadini d’Europa nel quotidiano: la moneta, la lingua di scambio, il passaggio quieto delle frontiere, la circolazione delle idee. Ma molto manca perché essa sia patria, elegga i fondamenti della propria storia, i manuali dei propri classici, la propria memoria condivisa”. Così si esprime Carlo Ossola concludendo la sua affascinante cavalcata tra i “classici” che hanno contribuito alla formazione dello “spirito europeo”.
Nel vivaio delle comete, edito da Marsilio (pp.165, € 17,50), lo scrittore, docente di Letterature moderne dell’Europa neolatina al Collège de France, è un libro che si legge con una nostalgia crescente interrotta a tratti da sprazzi di speranza che si insinuano nella trama pessimistica del presente dettata dalla decadenza nella quale siamo immersi.
È un tentativo quello che Ossola mette in campo di ricondurci alle nostre radici, mentre tentiamo di aprirci al XXI secolo che si presenta così gravido di interrogativi e di incertezze, nel solo modo possibile, vale a dire assumendo dal passato ciò ha costituito la “forma” di un pensiero europeo, tutt’altro che omogeneo naturalmente, ma pur sempre improntato ad una visione del mondo che da Plutarco in poi si è dispiegata con la forza delle idee che hanno il senso alle epoche vissute da questo nostro continente oggi smarrito.
Uno smarrimento che i “classici” tuttavia preconizzavano non illudendosi che la loro fosse una età dell’oro – se mai una ce n’è stata – ma caratterizzandosi realisticamente quali seminatori di avvenire.
È così che dai ritratti che Ossola ci offre viene fuori un quadro d’insieme, seducente e illuminante, sul quale si stagliano personalità che proiettano le loro ombre sul secolo nuovo, anzi sul millennio che si è acceso nell’ora più triste di una confusione planetaria prossima a quella dell’anno Mille.
Da Plutarco a Dante, da Apuleio a Cervantes, da Sant’Agostino a Pascal, da Petrarca a Montaigne, da Ildegarda di Bingen a Shakespeare, da Santa Teresa d’Avila a Buonarroti, da Galilei a Goethe, insieme con i “moderni” Leopardi e Dostoevskij, Tolstoj e Pirandello, Ungaretti e Montale, Celan e Bonnefoy – soltanto per ricordarne alcuni – sfilano nella pagine di Ossola i “pensieri europei” che hanno trovato il terreno sul quale germogliare: un vivaio di comete, appunto, per restare all’immagine di Celan, che ha animato il dispiegarsi la civiltà greca e quella romana, insieme con gli eredi di entrambe. Un mondo al quale bisogna tornare seguendo il percorso delle “comete”, appunto, al fine di ritrovare noi stessi ed i fondamenti o di una nuova civiltà che non può prescindere dal passato.
Il lascito di ciò che è stato può davvero fornire all’Europa l’antidoto contro i “demoni della propria sazietà”, come sembra indicare Ossola, oppure è un espediente sterile che si potrebbe adottare per mettersi la coscienza in pace? Optiamo per la prima ipotesi, ovviamente. E ci auguriamo che abbia ragione l’autore di questi ritratti così nitidi da sentirli presenti, nostri contemporanei in tutti i sensi. E, con loro, accogliere l’invito che da questo libro ci viene: continuare la memoria di quei patriarchi giustamente ritenuti pastori di popoli e costruttori di avvenire.
In questo XXI secolo, dice Ossola, “dovremo creare luoghi dove si raccolga la luce, riconquistare la quiete che accoglie e isola dal fitto brulicare del vano; ritornare al silenzio che avvolge e compie”. Potremmo farlo soltanto ritornando alle radici, alla memoria e ricomporre così i frammenti di una storia lunga almeno tre millenni per avviarci sulla strada di quello appena nato.