Come da decenni segnalato dagli studi in materia, quello tra agenzie di intelligence e decisore politico è universalmente considerato un rapporto complesso. La leadership politica e i servizi di informazione, infatti, parlano linguaggi differenti, hanno un orizzonte visivo spesso disallineato e puntano a diversi obiettivi.
Si può facilmente intuire come tale diversità, oltre ad essere un’opportunità di crescita e confronto per gli ordinamenti democratici, in determinati casi possa comportare un vero e proprio rischio, che finisce con il compromettere lo stesso rapporto tra politica e servizi di informazione.
Di questo tema si sta animatamente discutendo a Washington da quando l’House Intelligence Committee, su autorizzazione della Casa Bianca, ha reso pubblico il famoso memo ottenuto dal repubblicano Devin Nunes relativo ai possibili abusi commessi dall’FBI nel corso delle indagini sul Russiagate.
La questione è passata dall’essere un tema di dissertazione accademica ad un fatto di scottante attualità. In tanti si domandano se da questo momento in poi le agenzie di intelligence, che con la loro raccolta informativa alimentano la democrazia americana, siano ancora disposte a condividere i risultati del proprio lavoro con una classe dirigente apparentemente più interessata ad utilizzare a scopi politici le informazioni ottenute e non ad assegnare il giusto peso a un lavoro prezioso e per nulla semplice, quello dei servizi di informazione, che guarda esclusivamente all’obiettivo di garantire la sicurezza e l’integrità dello stato.
Non è un caso che proprio in queste ore dalle fonti vicine alle più importanti agenzie di spionaggio USA, a partire dalla CIA, si levino preoccupanti segnali d’allarme indirizzati al Congresso e, indirettamente, alla Casa Bianca. C’è persino chi si domanda se sia giusto ipotizzare una interruzione del flusso informativo che quotidianamente parte dal Langley e arriva a Capitol Hill e Pennsylvania Ave.
Tra le voci più critiche, si segnala l’autorevole presa di posizione del gen. Mike Hayden, già direttore della CIA e della NSA, che attraverso The Cipher Brief (una newsletter diffusa tra gli esperti del settore) ha condiviso il proprio punto di vista: “Dobbiamo riflettere con attenzione sui processi e sulle istituzioni da cui al momento dipendiamo e da cui dipenderemo in futuro. Un funzionario del Dipartimento di Giustizia o un rappresentante della comunità intelligence ha bisogno di sapere che tutti siano disposti a fare un respiro profondo”. Il generale ha poi aggiunto “In questo momento stiamo assistendo alla distruzione delle istituzioni di cui abbiamo seriamente bisogno per garantire la sicurezza degli Stati Uniti”.
Nel sottolineare quanto sia grave la frattura provocata dalla vicenda del memo è assai utile anche il pensiero di Josh Campbell, ex agente speciale dell’FBI con una carriera decennale nell’antiterrorismo, che in un’intervista al New York Times ha dichiarato: “All’FBI lavorano persone ostinate che non si preoccupano di capire verso quale direzione soffi il vento della politica. E’ chiaro che quegli agenti, per fare bene il loro lavoro, hanno bisogno di sostegno da parte delle istituzioni. Attacchi politici rivolti a fare terra bruciata nel Bureau minacciano e mettono seriamente a rischio il loro lavoro, sollevando dubbi corrosivi sull’integrità dell’FBI con delle conseguenze che potranno trascinarsi per intere generazioni”.
Il momento di crisi sembra quindi acuire le tensioni che già in passato hanno afflitto questa amministrazione, quando nei primi mesi di governo lo scontro tra Donald Trump e la comunità intelligence americana aveva causato veti e accuse reciproche, spesso degenerate in leak e mosse sleali. Quel clima di tensione fu lentamente messo da parte grazie al lavoro di alcuni protagonisti della leadership dell’era Trump, come il direttore della CIA, Mike Pompeo, e il National Security Advisor, H.R. McMaster.
In una nuova fase di turbolenze, a cui potrebbe corrispondere un riposizionamento di tessere ai vertici dell’amministrazione, in tanti confidano nella ricerca di un nuovo equilibrio che possa riallineare i differenti orizzonti della politica e delle agenzie di intelligence.