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Perché la Raggi ha sbagliato a far saltare il tavolo di Roma con Calenda

CARLO CALENDA

Alla fine quindi Carlo Calenda è stato costretto a gettare la spugna. Virginia Raggi, la sindaca di Roma, non ha inteso ragioni. Quel maledetto tavolo, voluto dal ministro dello Sviluppo economico, per affrontare i problemi di Roma capitale, doveva fallire. E così è stato. Per la verità era cominciata male. Con la Raggi che resisteva e si faceva negare al telefono, a mostrare tutta la sua insofferenza per quello che riteneva un’indebita interferenza. Cosa vuole il governo nazionale? Si limiti a fornire le risorse necessarie – quelle che non ha dato negli ultimi cinque anni, secondo uno dei tanti tweet del Campidoglio – e ci lasci lavorare. Spetta a noi e soltanto a noi decidere, almeno fin quando i romani, stanchi di vivere nel dissesto e nella sporcizia non ci daranno il benservito. Che poi questo avvenga alla scadenza naturale della consiliatura o sull’onda dei prossimi risultati della campagna elettorale, sarà tutto da vedere. Nel frattempo tutto va, come deve andare. Ossia nel peggiore dei modi possibili.

Scontro al color bianco, quindi. Con tanto di insulti e risposte piccate. Incompatibilità di caratteri, come mostra il riferimento velenoso del ministro all’aplomb di Chiara Appendino. Il volto meno oscuro del Movimento 5 Stelle. Con lei, sindaca di Torino, si può dialogare. Ma con “un combinato disposto di arroganza e incompetenza” (intervista di Calenda al Messaggero) inutile “perderci tempo”. Non si aiuta Roma a dispetto dei santi. Fine delle trasmissioni. Era prevedibile? Forse sì. Da un lato del tavolo, un ministro volitivo. Uomo del fare e manager di successo. Dall’altro una giovane avvocatessa, ancora troppo giovane per assimilare i principi basici dell’arte forense. Per lo più condizionata dal muro di una fragile identità. Prima di noi era solo il deserto.

Oggi si capiscono meglio le ragioni del gran rifiuto. L’aver negato l’assenso a proporre Roma come sede delle prossime Olimpiadi. L’aver volutamente “bucato” l’appuntamento con Giovanni Malagò, che attendeva lumi. Avversione ad ogni forma di rischio. Piuttosto che commettere qualche errore nella gestione di un grande business, meglio rinunciare. Il mondo immobile dei 5stelle, salvo la richiesta del salario di cittadinanza. Pura assistenza e niente sviluppo. C’è tutto questo nel susseguirsi degli episodi che hanno esasperato il ministro: dalle assenze della Sindaca alle riunioni convocate – cattive abitudini che si ripetono – alla sua scarsa partecipazione – “fa scena muta” – ai lavori del Tavolo, fino alla trasmissione di documenti infarciti di errori tecnici. “Prendi qualcuno nello staff che conosca l’aritmetica”: l’ultimo consiglio affidato al cinguettio della rete da parte del responsabile di Via Veneto.

Accuse pesanti, alle quali la Raggi risponde invocando l’alibi della politica: “È bastato chiedere contezza del miliardo annunciato e mai stanziato dal Mise per scoprire che quello di @CarloCalenda è soltanto un bluff pre-elettorale”. Replica che peggiora la situazione. Il Mise non è un bancomat a disposizione del Comune di Roma. Non lo è più nemmeno il ministro dell’economia, cui spetta l’ultima parola per l’erogazione dei fondi. Compito del ministero di Calenda è approvare i progetti, che devono essere redatti nelle forme dovute. Se questa pre condizione manca, l’iter si arresta e i fondi a bilancio vanno in economia. Non ha, quindi, senso alcuno recriminare. Occorre invece lavorare con serietà, avendo ben presente quale è la grammatica giusta. A sua volta requisito essenziale di ogni prospettiva di sviluppo. Ma sono proprio queste coordinate che mancano nella vision del Movimento. Pronto alla facile protesta, ma quando si tratta di fare due conti – come nel caso delle devoluzioni a favore delle piccole e medie industrie da parte dei suoi parlamentari – crolla l’intera impalcatura.

Questi sono, quindi, i limiti di fondo che la rinnovata polemica su Roma fanno emergere. Nulla di nuovo: si potrebbe aggiungere. Salvo l’esistenza di un credito politico, a disposizione del Movimento, nei confronti di determinati settori della pubblica opinione, che rischia di essere progressivamente eroso dal susseguirsi delle gaffe che trasformano la normale dialettica politica in uno scontro istituzionale, che si ritorce soprattutto sugli ignari cittadini.


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