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Così il contagio emozionale e la manipolazione cambiano la politica estera

politica

Già lo diceva Leonardo da Vinci, che “da solo sono uno e in due sono metà”. In seguito Gustave Le Bon, in piena età positivista, elabora nella sua Psicologia delle Folle un criterio secondo il quale la massa depotenzia tutte le capacità razionali dell’individuo. La massa sprigiona l’Es, distrugge l’Io, fa operare l’Inconscio nella Storia. Anche Freud, nel suo “psicologia delle masse e analisi dell’Io”, concorda con questa impostazione. Benito Mussolini si dice tenesse una copia del testo di Le Bon sul comodino, mentre Eduard Bernays, il nipote di Sigmund Freud, fonderà la pubblicità e le moderne pubbliche relazioni negli Usa, in quel grande Paese dove suo zio era arrivato borbottando, dalla nave, “andiamo a portare la peste”. Ecco perché la politica ha oggi assunto gli stessi metodi del marketing e della pubblicità. Anzi, è essa stessa, oggi, pura comunicazione commerciale e distribuzione di succedanei. Oggi le cose sono però ben diverse: i messaggi politici e commerciali sono troppi per essere percepiti secondo i criteri tipici della pubblicità, mentre i segnali della classe politica sono tutti elaborati secondo lo stesso paradigma. Il che confonde ulteriormente l’utente finale del messaggio, del segno creato dalla comunicazione di massa. Farsi vedere nell’arena del marketing emozionale è diventato molto difficile. Le culture moderne, nell’analisi degli esperti di pubblicità e di pubbliche relazioni, si dividono però secondo alcuni modelli standard, che valgono per individui appartenenti anche a culture socialmente e geograficamente molto diverse tra loro. C’è il modello della “distanza dal potere”, oppure quello del contrasto tra “individualismo” e “collettivismo”, poi ancora lo scontro tra mascolinità e femminilità, infine la categoria della “avversione all’incertezza”.

Se la pubblicità e la comunicazione commerciale e politica si sono sempre caratterizzate in modo esplicito rispetto al contesto di ogni cultura, l’emotional contagion tende a modificare la massa dell’Iceberg cognitivo che sta sotto il livello del mare. Il contagio emozionale elimina la separazione tra marketing e politica, tra la politica e la comunicazione affettiva e privata, tra i simboli dell’Io e quelli del gruppo. Se, poi, andiamo a studiare alcuni fenomeni politici di massa attuali, oltre ai comizi e ai cortei che già studiava Le Bon, allora comprendiamo meglio la questione. Le “primavere arabe” sono state un modello politico in cui le emozioni hanno infatti giocato un ruolo primario, ben oltre il classico, ormai datato, contrasto tra “ragione” e “sentimento”. Le motivazioni delle masse arabe, in quel contesto, erano basate proprio sui classici elementi del sistema emozionale: paura, rabbia e orgoglio. Paura della repressione, rabbia per la prevedibile reazione dell’Autorità, ovvero del Capo ferito o simbolicamente morto, orgoglio per essere i soli che sanno la Verità. Un modello che vale per tutte le rivoluzioni, siano esse politiche o violente oppure simboliche e giocate tutte sulla comunicazione. Sono queste tre categorie che differenziano una nuova “cultura” dalla vecchia; e che definiscono il nuovo gruppo, in termini valoriali, da quello originario di ogni singolo membro della “rivoluzione”. Rivoluzione è un ritorno, come dice l’origine astronomica del termine, e un nuovo inizio, è la fine dei tempi e il paradiso perduto nello stesso momento. Ogni cultura rivoluzionaria presuppone quindi il proprio gruppo di riferimento, per usare la definizione corrente della Piazza Tahrir egiziana durante la rivolta contro Mubarak, come un “paradiso”.

Ma oggi l’imprenditore emozionale, come lo chiamano alcuni studiosi, tende a influenzare quelle tra le emozioni che debbano essere popolari, poi a stabilire il momento in cui sbocciano, infine a controllare il modo in cui esse si esprimono. Le tecniche di regolazione delle emozioni riguardano, poi, la gestione della durata, grandezza, efficacia dell’emozione di massa. Le tipologie delle emozioni sono tre: quelle soggettive, quelle di gruppo e le emozioni collettive. Ogni attore politico, soprattutto nell’ambito della politica estera, è un ingegnere delle emozioni di massa.

Come si fa a manipolare le emozioni? Non è difficile: in una prima fase si selezionano le situazioni in cui si incontrano le masse. Stadi, eventi di contorno, notizie gravi o liete di cui tutti parlano, naturalmente la televisione, ciò che si sceglie di comunicare in prima battuta. Si tratta, soprattutto, di evitare l’incontro o la comparazione tra una proposta politica e l’altra opposta. E non tramite pseudoragionamenti, ma per mezzo di situazioni obiettive che evitino il contatto con l’Altro. Poi, vi è la modifica della situazione, ovvero l’orario, la location, i tratti estetici e simbolici dell’incontro. Qui gioca il fattore feel good, il “paradiso” di cui parlavano i ragazzi di Piazza Tahrir. La situazione deve essere un pieno emozionale, mentre il leader, l’operatore emozionale, esalta le emozioni positive e mette in un angolo le paure o le emozioni generate dai suoi avversari.

Se la politica è sentimento manipolato, non c’è nessun dato oggettivo che possa modificare un comportamento. Se osserviamo, in questo contesto, le politiche sull’immigrazione italiane e europee possiamo confermare il nostro modello: paura, paura dell’Altro, comportamenti degli altri Paesi Ue, costruzione identitaria sulla base dell’orgoglio, creazione infine di un nuovo immaginario, sia esso immigrazionista o contrario alla “invasione” da sud. Oppure, posso anche accettare le percezioni, mascherate da pensieri, di alcuni attori del mercato che hanno già conquistato un ruolo, un prestigio, un potere. Accade nelle crisi finanziarie, accade anche nell’agone politico, che imita ormai la dialettica tra forze economiche nel “mercato”, finanziario o politico non importa.

Altro dato da non trascurare è che, sia che si tratti di vecchia politica che di propaganda attuale tramite i social media, il rilievo simbolico e il potere evocativo di un fatto sono essenziali, a livello elettorale, per l’utilizzazione di quel fatto come elemento della propaganda. Ma il potere evocativo e simbolico viene costruito ex post, non è presente nel fatto in sé. Oggi, però, il capo è, di per sé, un elemento critico e in pericolo. “Uno vale uno” è ormai un dogma di tutta la politica contemporanea, non di un singolo movimento.

Se si tratta unicamente di muovere emozioni e simboli, non vi è nessuna necessità della elaborazione razionale del discorso politico, muoiono quindi tutte le élites, ogni “cittadino” è il luogo di tutti i poteri. Nemmeno Rousseau sarebbe arrivato a tanto. Ai nostri giorni, quindi, occorre una politica-propaganda che segue i vecchi criteri, ma che oscura il capo, lo rende polimorfo e privo di identità apparente. Oggi il leader è come Macbeth, un uomo pieno di ambizioni ma dominato da fortissimi poteri oscuri e maligni, che compie un suo destino mentre si realizza la profezia infernale delle tre streghe: “Spesso per perderci, le potenze delle tenebre dicono il vero, ci annientano per via di inezie innocenti”. La frase è pronunciata da Banquo, ma potrebbe pronunciarla ogni analista politico capace.


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