Sono state ore di terrore quelle che hanno visto protagoniste le forze di sicurezza francesi impegnate a far fronte a vero e proprio “un atto terroristico” nel sud della Francia, in cui un uomo, Redouane Lakdim, si è asserragliato in un supermercato uccidendo due ostaggi e ferendone gravemente almeno altri tre. Un attacco che riapre il dibattito non solo sulla lotta al terrorismo, ma anche sul fenomeno dei foreign fighters e su quella che Andrea Manciulli ha definito “radicalizzazione endogena”. Manciulli, già vicepresidente della commissione esteri della Camera, ne ha parlato con Formiche.net, ribadendo la necessità di rafforzare la prevenzione e la cooperazione europea sui temi della sicurezza.
Pensavamo che il Califfato fosse stato sconfitto, invece…
Tutti quelli che si occupano di terrorismo non hanno mai detto che fosse completamente sconfitto. C’è una sconfitta sul territorio, in Siria, ma chiunque se ne sia occupato seriamente come noi ha sostenuto che non si sarebbe tradotto in una diminuzione del rischio di terrorismo. Anzi, per certi versi, la risposta più immediata alla sconfitta sul campo poteva essere una recrudescenza del fenomeno terroristico in occidente, proprio come reazione.
Ci si deve aspettare altre ripercussioni sul territorio europeo?
Daesh non ha creato un solo fronte. Ha creato senza dubbio un fronte che ha riguardato la conquista di territori e la reazione dello Stato, sul quale si sono registrati enormi progressi. Tuttavia, anche in Siria e in Irak ci sono gruppi di terroristi che si sono nascosti, separati, un po’ come successe con l’insorgenza post seconda guerra irachena, e quindi c’è ancora un lavoro da fare in questo senso. Però è evidente che Daesh aveva anche un versante di guerra, jihad, mediatica che è stata la vera novità di questi anni. Una guerra che ha fatto tantissimi proseliti e ha cambiato la natura del terrorismo jihadista, facendo emergere la figura delle persone che si auto radicalizzano e che costituiscono una minaccia, come ha detto oggi in conferenza stampa il presidente Macron, endogena. Questo tipo di minaccia è ancora tutta in piedi, anzi, il senso di rivalsa per la sconfitta sul territorio può dare, purtroppo, motivazioni nuove a questo popolo abbastanza vasto di simpatizzanti che sta in occidente e su questo bisogna fare attenzione. È anche per questo che in questi mesi noi ci siamo battuti affinché, oltre al decreto del 2015 di cui eravamo relatori io e Dambruoso, si approvasse rapidamentre la legge sugli aspetti preventivi.
La legge proposta da lei e dall’onorevole Dambruoso si è arenata al Senato, pensa che il nuovo Parlamento dovrebbe farsene carico?
Io spero che qualcuno abbia la forza di riprenderla in mano magari anche di attualizzarla e metterci più risorse, se necessario, ma di approvarla perché il tema della prevenzione è indispensabile per combattere questa nuova forma di terrorismo. Indispensabile, voglio calcare questa parola. Perché Daesh, diversamente da Al Qaida, ha creato un enorme esercito di simpatizzanti che possono passare all’atto improvvisamente. Il ministro dell’Interno francese, oggi, ha detto che il soggetto (Redouane Lakdim, ndr) era una persona nota, soprattutto per crimini legati alla droga, piccola delinquenza, era stato anche in carcere. C’è un ipotesi che già in carcere possa aver avuto i primi contatti di radicalizzazione per poi diventare un sosspetto con dei segni di radicalizzazione molto recenti ed è passato all’atto tutto d’un tratto. Questo profilo tipico rende evidente che senza prevenzione, come del resto il nostro antiterrorismo dice da tempo, questo fenomeno si contiene male. Nella nostra legge c’era il tema delle carceri, delle scuole. Senza dubbio, vista questa nuova fase che rischia di aprirsi, dove la parte endogena del terrorismo è quella più minacciosa, avere un sistema di leggi preventive è fondamentale.
Oltre alla prevenzione, cosa pensa sia necessario per combattere il fenomeno della radicalizzazione?
Proprio ieri ho fatto una lezione a un gruppo di studenti provenienti dalla Francia. Con loro è emersa la forte necessità che tutti i paesi della Nato e dell’Unione europea abbiano un doppio registro, cioè quello repressivo e quello preventivo. È estremamente importante che ci sia una legislazione omogenea e un coordinamento fra i principali Paesi esposti. Questo è, a mio avviso, togliendolo dall’astrattezza, e dalla retorica, il coordinamento in più che si deve fare.
Vede un pericolo anche per l’Italia?
Innanzitutto sono orgoglioso, perché ho lavorato in questi anni con loro fianco a fianco, del nostro sistema di antiterrorismo, dai Servizi alle forze dell’ordine, tuttavia non c’è nessuno al riparo e i primi a dirlo sono proprio i nostri operatori. Bisogna sempre tenere l’attenzione elevatissima, e noi in questo campo facciamo un lavoro importante, ma in questo campo non è mai abbastanza. Anche noi, che magari siamo stati meno esposti al tema dei foreign fighters e dei combattenti veri e propri, siamo esposti rispetto ai temi dei simpatizzanti e della radicalizzazione endogena e questo avvalora ancora di più l’esigenza di sviluppare un sistema preventivo forte.
Ora che il conflitto sul territorio si è affievolito, dove andranno i foreign fighters?
È un tema su cui c’è da lavorare uscendo dalle forzature mediatiche. I combattenti, i foreign fighters che hanno combattutto sullo scenario siro-iracheno non torneranno tutti a casa, anzi. Stiamo assistendo, invece, a una certa spinta ad andare in altri scenari di crisi, in particolare ci sono delle evidenze abbastanza chiare verso l’Afghanistan, che proprio in queste settimane sta riscoprendo una grossa ondata di attentati,e verso la regione sahelo africana che ha ugualmente una certa incidenza. È evidente che proprio per questo ci vuole una grande attenzione, una grande capacità a prevenire possibili nuovi focolai e il nostro Paese, a mio avviso, deve essere uno dei più attivi in questo senso.