Il ‘filoputinismo’, di vecchia data o più recente, di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e del Movimento 5 Stelle avrebbe reso inutile, almeno sino ad ora, un uso massiccio e sistematico di disinformazione sui social media da parte di bot, troll e media russi per influenzare l’opinione pubblica italiana alla vigilia delle elezioni, come accaduto invece in modo più netto in altri Paesi occidentali.
IL LAVORO DI DFRLAB E FANPAGE
Lo scenario è frutto di un lavoro di ricerca e analisi di fonti aperte condotto in questi mesi dal Digital Forensic Research Lab del think tank Usa Atlantic Council (giunto in questi giorni nella Penisola) e dal sito fanpage.it, rilanciato poi da diversi media.
Secondo il laboratorio diretto da Maksymilian Czuperski, tra l’amicizia con Silvio Berlusconi, la vicinanza della Lega e le molte posizioni coincidenti del Movimento 5 Stelle, il Cremlino conta oggi pochi partiti ostili alle sue politiche. Solo il Partito Democratico, scrive il DFRLAB in un articolo a firma di Anna Pellegatta e Michael Sheldon, risulta al momento lontano dalle posizioni di Putin, soprattutto dopo che, a seguito della sconfitta nel referendum costituzionale del 2016, media di Stato russi come RT avevano iniziato a criticare apertamente l’allora primo ministro e leader del Pd Matteo Renzi.
LO STUDIO DI ALTO E L’ANALISI DEL NYT
Nonostante l’allarme sulla circolazione di alcuni tipi di fake news su temi particolarmente divisivi come l’immigrazione (quantificato da uno studio di Alto Analytics), in Italia, ha scritto anche Jason Horowitz sul New York Times, “i partiti che appaiono meglio posizionati in vista del voto godrebbero probabilmente tutti del favore della Russia”. Ragion per cui, a conti fatti, anche se Mosca avrebbe utilizzato i social media per esercitare una influenza indebita sulle elezioni “negli Stati Uniti, e poi nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania” o nel caso della Brexit nel Regno Unito, forse, spiega l’autore, Mosca non avrebbe davvero necessità di intervenire in Italia né per convincere gli elettori né tantomeno per premere sulla classe politica per farle assumere posizioni utili al Cremlino (ad esempio su questioni come il prolungamento o meno della sanzioni internazionali a carico della Russia).
IL PASSAGGIO DI BANNON
A rendere ancora più complesso lo scenario a pochi giorni dal voto del 4 marzo è la visita a Roma di Stephen Bannon, controverso ex capo stratega del presidente Usa Donald Trump, vicino a posizioni filorusse. In questi giorni nella Penisola per un tour mirato alla costruzione di un movimento populista in Europa, l’ideologo dell’alt right, allontanato dalla Casa Bianca e da Breitbart News, ha detto in un’intervista che “gli italiani sono andati oltre, in un lasso di tempo più breve, di quanto fatto dai britannici con la Brexit e dagli americani con Trump”. Secondo Bannon, “l’Italia è leader” del ‘populismo’ che starebbe travolgendo il vecchio ordine politico. Ipotizzando gli scenari dopo il voto in Italia, l’ex braccio destro di Trump intravede o l’impossibilità di formare un governo o una ‘grande coalizione’ tra i partiti guidati da Berlusconi e Renzi. E per Bannon questi sarebbero avvenimenti auspicabili, poiché permetterebbero alle forze ‘populiste’ di ottenere ancora più consenso, rendendo possibile il “sogno definitivo” di un’alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega.