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Così la Nato si rafforza in caso di pronto intervento sul fianco orientale

Nato

Secondo il Wall Street Journal, gli americani sarebbero molto preoccupati sulla preparazione degli eserciti europei nel caso di una guerra con la Russia, per questo starebbero pensando di ampliare sensibilmente la forza di risposta rapida in grado di mettere in movimento nel giro di pochissime settimane almeno 30mila soldati, più mezzi e navi da guerra.

Il problema c’è, spiegano fonti tra “attuali ed ex funzionari [militari] alleati” al WSJ (un giornale non troppo distante dalla Casa Bianca), e segue un’analisi più terza redatta a inizio marzo dalla think tant nonprofit RAND Corporation, in cui sostanzialmente si diceva: a lungo andare la Nato è ben più forte della Russia, ma nel breve termine sul fronte orientale l’alleanza subirebbe delle serie perdite, visto il dispiegamento russo piazzato al di là dei confini.

L’esile forza di reazione – più che altro simbolica – piazzata tra baltico e Polonia dall’Alleanza Atlantica dopo l’annessione della Crimea, si compone solo di 4600 uomini impiegati però a rotazione tra Lettonia, Estonia e Lituania, e 5000 unità di intervento rapido dispiegate a Varsavia. La Russia di là del confine ha missili, mezzi e divisioni.

Sarebbe stato proprio il segretario alla Difesa americano, James Mattis, a dire durante una recente riunione Nato che l’alleanza deve accelerare i processi decisionali, migliorare la capacità di muovere le sue forze e assicurare che le unità siano pronte a schierarsi con poco preavviso. Dicono le fonti del WSJ che il capo del Pentagono avrebbe espresso estrema preoccupazione e concentrazione sulla “risorgente minaccia russa”.

I paesi alleati sarebbero tutti sulla stessa posizione, e si starebbe discutendo la possibilità di chiudere un accordo su un piano entro la ministeriale di luglio. L’idea, proposta dagli Stati Uniti, prevede di lavorare per mettere in operatività rapida 30 battaglioni, 30 squadroni da combattimento e 30 navi da guerra, pronti a essere schierati insieme ad almeno 360 aerei da combattimento in un massimo di 30 giorni.

Rispetto alla Guerra Fredda cambiano numeri e ingaggio: ai tempi, i piani americani prevedevano di spostare in Europa 10 divisioni statunitensi – ossia circa circa 200.000 soldati – nel giro di 10 giorni. La nuova proposta si concentra invece sulla capacità di mobilitazione degli alleati europei, con un obiettivo meno ambizioso. È soprattuto il focus a essere diverso però: ora la Nato non avrebbe più bisogno di fronteggiare un’operazione convenzionale d’invasione, ma lo scenario da incubo per il quartier generale alleato è un’altra annessione ibrida come quella vista in Crimea, ai danni di un paese membro (da lì quel mini-dispiegamento congiunto a Est, per mostrare che in qualsiasi situazione la risposta sarà collegiale).

Raccontare l’indiscrezione del WSJ senza contestualizzarla è impossibile. I rapporti tra la Russia e diversi paesi occidentali, quasi tutti membri Nato, sono scesi ai minimi nelle ultime settimane. Dal 4 marzo, quando il governo inglese ha iniziato ad accusare i russi per il tentato omicidio dell’ex agente del servizio segreto militare russo Sergei Skripal e sua figlia in una cittadina dell’Inghilterra del sud (dove Skripal viveva rifugiato, per aver passato informazioni di intelligence agli inglesi), si è raggiunto il minimo nelle relazioni diplomatiche dal 2014.

Stati Uniti e decine di paesi europei hanno seguito la via inglese e provveduto all’espulsione di un totale di 150 diplomatici considerati uomini dei servizi segreti, che sfruttavano le ambasciate come copertura. Mosca, che sul caso Skripal ha sempre dichiarato la propria innocenza (dipingendo le accuse come una macchinazione inglese per assicurarsi una centralità nel sistema-Occidente nonostante la Brexit), ha reagito con il più classico dei tit-for-tat diplomatici. Con un provvedimento simmetrico, i russi hanno annunciato di voler espellere lo stesso numero di funzionari dal proprio territorio, con corrispondenza diretta alle espulsioni approvate contro di loro.

È interessante sottolineare che a questa guerra di spie ha preso parte anche la Nato. Da tempo il controspionaggio interno dell’Alleanza dichiara che almeno un terzo del personale delle ambasciate russe in Europa è fatto da uomini dell’intelligence che sfruttano i benefit della copertura diplomatica per portare avanti attività di spionaggio. Il 27 marzo dal quartier generale Nato di Bruxelles sono stati cacciati sette dei venti ufficiali russi che hanno compito di mantenere aperto un canale di dialogo con Mosca; la sede centrale dell’organizzazione atlantica ha anche fatto sapere che da adesso in poi l’accreditamento sarà concesso soltanto a dieci ufficiali di collegamento russi.

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