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Così Putin chiude il rubinetto del gas all’Ucraina ma senza successo. Il ruolo dell’Europa

La russa Gazprom — maxi azienda a partecipazione statale che si occupa principalmente di gas — negli ultimi giorni ha interrotto, senza preavviso, le forniture a Kiev, costringendo l’Ucraina a misure d’emergenza per non restare al freddo (tra l’altro, la chiusura delle scuole). Naftogaz, la società statale di gas e petrolio ucraina, aveva chiesto via Facebook ai cittadini ucraini: “Dobbiamo resistere solo per tre, quattro giorni finché il freddo non sarà passato. Chi ha le caldaie a gas riduca la temperatura interna di un grado di giorno e di due gradi durante la notte. In questo modo si risparmierà l’8-9% di gas”. “Possiamo dire che la situazione critica è già finita: abbiamo un forte aumento delle forniture dall’Unione Europea, dalla Polonia, dalla Slovacchia, dall’Ungheria, s’è invece sbrigato a dire il presidente ucraino Petro Poroshenko, dichiarando il deficit colmato e sottolineando come l’Ucraina abbia comunque garantito “il transito di gas verso i paesi dell’Ue” confermando “lo status di paese affidabile”.

La precisazione è fondamentale perché Mosca contemporaneamente ha anche avviato le pratiche per rescindere tutti i contratti con l’Ucraina, sia per quanto riguarda la vendita di gas, sia – e qui le preoccupazioni si svincolano dal semplice destino di Kiev – quelli relativi al passaggio nei metanodotti. Il punto è che quelle pipeline sono le vie di transito per tutto il gas che dalla Russia arriva in Europa; motivo in più, pragmatico se si vuole, per considerare di primario interesse tutto ciò che accade attorno al conflitto del Donbass (la regione in cui i separatisti ucraini hanno dichiarato l’istituzione di due repubbliche autonome) e in generale sui delicati rapporti tra Kiev e Mosca.

La nuova escalation solleva infatti preoccupazioni concrete per l’Ue, come ha dichiarato apertamente il vicepresidente della Commissione con delega all’Unione energetica, Maros Sefcovic, che tuttavia non sono immediate: la via scelta da Gazprom, con il coinvolgimento della Corte arbitrale internazionale di Stoccolma, potrebbe richiedere mesi prima di arrivare alla sentenza. Intanto in questi giorni la corte si è espressa contro Gazprom e in favore di Naftogaz: Kiev, secondo gli arbitri, dovrebbe ricevere 4,637 miliardi di dollari a titolo di risarcimento per altre mancate consegne del gas attraverso l’Ucraina (Poroshenko ha accusato la società russa, che per ripicca sull’arbitrato avrebbe chiuso i rubinetti, ma ha precisato che la pressione in uscita, ossia quella diretta in Ue è restata costante).

Nel frattempo la diplomazia che si sta muovendo tra Kiev, Mosca, Bruxelles e Washington cerca di trovare una quadra potabile alla crisi in generale (oggi il Gruppo di contatto trilaterale che monitora la crisi ha adottato una risoluzione che prevede un nuovo cessate il fuoco a partire dal 5 marzo), includendo anche la questione gas, senza interruzioni di nessun genere di rapporti commerciali, per primi appunto quelli sugli asset fisici. Sullo sfondo un doppio binario: mentre il lavoro diplomatico continua, il governo americano e quello russo sembrano distanti come non mai. Venerdì la Casa Bianca ha deciso di rinnovare per un altro anno le sanzioni post-crimeane, ed è sembrata quasi una conseguenza del messaggio bellicoso tenuto dal presidente russo, Vladimir Putin, nel discorso annuale alle Camere riunite – sempre in questi giorni, gli Stati Uniti hanno reso pubblica la decisione di inviare missili anti-carro all’esercito ucraino, da usare nel Donbass.

Per altro, sempre sulla base di un approccio pragmatico, va tenuto conto che Gazprom — e Mosca, che ha dato l’ok affinché soprattutto in questi giorni di particolare freddo la ditta russa spingesse al massimo le erogazioni verso l’Europa — non possono rinunciare alla linea di mercato europeo, e per il momento quella che taglia il territorio ucraino è utilizzata per far viaggiare oltre novanta milioni di metri cubi (la metà del totale venduto dai russi). Per lo meno la situazione è questa al momento, in attesa che grandi progetti come Nord Stream siano completamente operativi; ed è possibile che la postura adottata nei confronti del dossier ucraino serva ai russi come leverage per sbloccare blocchi e scetticismi sul gasdotto che collegherà la Russia all’Europa da nord, attraverso la Germania). “Il contratto sui transiti che è oggetto delle dispute scadrebbe comunque nel 2019, con rischi notevoli in caso di mancato rinnovo, per Gazprom e non solo, se non ci fossero canali di trasporto alternativi. A questo punto Mosca ha in mano un’ottima carta da giocare nella trattative con Bruxelles”, scrive il Sole 24 Ore.

(Foto: Gazprom)

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