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Renzi è ancora il capo del Pd, ma ora la partita si fa dura

“Tocca a loro” aveva detto Matteo Renzi, e così è stato. Il Partito democratico ha mantenuto in questo avvio di legislatura la strategia voluta dal suo ex segretario, e da lui stesso annunciata all’indomani della sconfitta elettorale. Il Partito democratico, come avevamo anticipato ieri, si è limitato a guardare, “sventolando” scheda bianca prima, e votando due candidati di bandiera poi. Insomma, Renzi può sorridere: detta ancora la linea al suo partito.

In realtà, anche dal punto di vista numerico, i democratici non avevano i numeri per giocare una partita nella quale Luigi Di Maio e Matteo Salvini “non hanno fatto toccare palla a nessuno”. Nella due giorni che ha portato Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati alla presidenza di Camera e Senato, Matteo Renzi i suoi fedelissimi per tutto il tempo hanno sopito e troncato ogni possibile dialogo tra l’ala “governista” del partito e il Movimento cinque Stelle. E alla fine, paradossalmente, i “renziani” hanno guardato con soddisfazione ad un risultato che sostanzialmente vede uscire a mani nude il PD da questo primo atto della legislatura, soprattutto perché l’asse M5S-Lega sembra molto più saldo di quanto non si pensasse; talmente saldo da far immaginare il governo PD-M5S, di cui molto si è parlato in questi giorni, come qualcosa di ormai lontanissimo. Insomma, Renzi ha mantenuto il Partito Democratico sulla “sua” linea politica, portando a casa il primissimo successo interno della legislatura

LE PROSSIME TAPPE

In realtà le vere sfide per il Partito democratico iniziano proprio adesso, ad iniziare dall’elezione dei capigruppo di Camera e Senato. I renziani sono convinti, a dispetto di quanto scrivono i giornali, di avere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Poi l’obiettivo si sposterà sulle consultazioni e soprattutto sulla delicatissima Assemblea Nazionale di aprile, dalla quale uscirà il nuovo assetto del partito almeno fino al prossimo congresso.

L’EGEMONIA RENZIANA 

La vera partita sull’egemonia nel Pd, quindi, si giocherà nel corso dei prossimi 30 giorni, ovvero tra l’assemblea nazionale dei democratici di metà aprile e le consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo. E soprattutto su questo secondo aspetto che si gioca l’unità del partito. All’interno dei democratici c’è chi assicura che un’eventuale rottura sulle prospettive di governo del Pd, si tramuterebbe inevitabilmente in una nuova scissione. Difficilmente Renzi potrebbe dare vita ad un suo movimento, alla Macron, – ragiona un esponente democratico – ma se un pezzo di partito volesse entrare in un governo allora “la spaccatura diventerebbe quasi una conseguenza di questo strappo”, rendendo più plausibile l’ipotesi di un nuovo movimento di Renzi.

Per Renzi e i renziani, insomma, la linea del “Tocca a loro” è intoccabile: è considerato l’unico modo per mettere in luce le contraddizioni dei cosiddetti “estremisti”, un modo per far vedere agli italiani come le promesse di Lega e M5S siano sostanzialmente irrealizzabili.

D’altra parte, fanno notare gli avversari dell’ex segretario, dopo la sconfitta elettorale, Renzi è molto indebolito sui territori. “Matteo – spiegano – soprattutto con le liste ha scelto di tutelare i suoi fedelissimi, paracadutandoli nel listino proporzionale, a scapito di chi sul territorio ha realmente i voti. Il pessimo risultato nazionale ha consentito l’elezione dei turborenziani, ma ha determinato la sconfitta di chi per portare voti ai paracadutati era stato inserito nei collegi uninominali. Chiaramente oggi costoro, che sono ben radicati all’interno della comunità dei militanti democratici, difficilmente sosterrebbero ancora Renzi in un congresso”. Insomma per Renzi mantenere la maggioranza avuta negli ultimi due congressi, la prossima volta sarà molto più difficile, proprio perché chi fino ad oggi lo ha appoggiato sui territori potrebbe voltargli le spalle.

Matteo Renzi iniziò la scalata al Pd nel 2012 con l’appoggio di un manipolo di parlamentari contro Bersani sostenuto da tutto il gruppo dirigente democratico, si troverebbe oggi ben più forte all’interno dei “palazzi”, con la maggioranza dei gruppi parlamentari che ancora lo sostengono, ma più debole sui territori che fino a qualche tempo fa lo supportavano con grande affetto.

Insomma, Renzi, per ora, ha vinto la prima mano di una partita a poker che si preannuncia lunga e difficile.


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