Un inutile “pareggio” che lascia sostanzialmente irrisolti tutti i nodi al pettine dei rapporti tra Ue e Turchia, ma che proprio perché senza una soluzione nel breve-medio periodo, potrebbe essere foriero di nuova destabilizzazione nel quadrante mediterraneo e in quello mediorientale.
Il vertice euroturco di Varna, sul Mar Nero, era stato preceduto dagli strali turchi nella direzione dello sfruttamento degli idrocarburi a Cipro dopo i casi Saipem e Exxon, ma anche dalla nuova strategia di Erdogan in Siria e in Iraq. È chiaro che, come da vulgata che circola con insistenza, se nel mezzo non ci fosse la partita dei migranti che sta fruttando alla Turchia altri 3 miliardi di euro da Bruxelles, gli attori in causa avrebbero assunto forse un altro atteggiamento.
QUI VARNA
Nessun accordo raggiunto sul mar Nero tra le parti. Al di là delle dichiarazioni di circostanza Ue e Turchia non trovano un terreno comune da arare per compiere un qualche passo in avanti nei rispettivi dossier. Erdogan chiedeva la liberalizzazione dei visti, il progresso nelle trattative di adesione di Ankara all’Ue (anche se nell’ultimo lustro l’obiettivo del Presidente è diventato un altro, ovvero farsi leader della macroregione mediorientale), la possibilità di essere riconosciuto dalla comunità internazionale come stato a Cipro nord (fatto salvo il fatto che il 45% dell’isola è occupato abusivamente da 50mila militari dal 1974), la libertà di cercare gas proprio lì dove nessun appiglio giuridico di leggi e trattati internazionali glielo consente.
La replica europea, come noto, si è focalizzata sui “residui” socio-politici legati al golpe farlocco del luglio 2016, con ancora oggi arresti, condanne, detenzioni e privazioni delle libertà personali per numerosi soggetti turchi come militari, magistrati, giornalisti, attivisti, politici e semplici cittadini. Il presidente del Consiglio dell’Unione europea Donald Tusk ha detto che l’Ue è preoccupata per lo stato di diritto in Turchia, citando il caso della detenzione di cittadini europei nel paese e il blocco turco dei pozzi di gas naturale al largo di Cipro. Si è inoltre espressa la preoccupazione dell’Ue per l’azione militare turca in Siria.
I rapporti di Erdogan con altri partners di primo piano, come Germania e Olanda, non sono rosei anche per via di polemiche innescate proprio da Ankara, come le provocazioni contro la Grecia.
Non sono mancate le contestazioni, con un centinaio di persone giunte nella piazza centrale della città bulgara per protestare contro la visita del presidente turco. Su bandiere e manifesti campeggiavano gli slogan “Stop Erdogan” e “chiudiamo Varna ai dittatori”. Promotori della protesta sono stati attivisti del partito Vazrazhdane (Revival) guidato da Kostadin Kostadinov.
QUI ANKARA
Erdoğan ha mostrato una capacità di farsi concavo e convesso dinanzi ad accuse precise, che lo ha portato a dirsi ottimista sul fatto che le relazioni tra Turchia e UE potrebbero in futuro migliorare ancora: “Ci auguriamo che ci siamo lasciati alle spalle le difficili relazioni tra la Turchia e l’Unione”, chiedendo di fatto l’avvio di una stagione nuova di rapporti bilaterali, ma non rispondendo nel merito alle questioni aperte sul tavolo.
Anzi, ha difeso con insistenza la modernizzazione di Ankara in riferimento all’unione doganale con l’Ue, tralasciando gli aspetti politici e tornando alla carica per la liberalizzazione dei visti, un passaggio che gli è molto caro perché vorrebbe che diventasse un altro dei suoi cavalli di battaglia in chiave elettorale, in vista delle ormai probabilissime elezioni anticipate del prossimo luglio, in concomitanza dell’anniversario del fallito golpe.
DEMOCRAZIA?
Ma è stato quando il presidente turco ha rivendicato di essere uno “Stato democratico rispettoso di diritti e di libertà fondamentali” che Tusk ha vacillato. Così si è arrivati alla nota congiunta in tarda serata con cui i leader dell’Unione europea hanno certificato che “i colloqui con il presidente turco non hanno dato risposta a una lunga lista di preoccupazioni, tra cui l’intervento della Turchia in Siria e l’incarceramento di giornalisti in patria”.
Il presidente turco era accompagnato dal ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu e dal ministro degli affari dell’Unione europea Omer Celik, e ha “accusato di grande tensione” il blocco Ue che al contempo gli ha anche ha promesso di mantenere il flusso di fondi da 3 miliardi per gestire il dossier migranti. La replica di Ankara è stata di “delusione verso le richieste di legami commerciali più profondi o di viaggi senza visto in Europa”.
Ma alla fine è Bruxelles che sceglie di lasciare la porta aperta a Erdogan come dimostra la seconda parte della dichiarazione di Tusk: “Mentre la nostra relazione sta attraversando momenti difficili, nelle aree in cui collaboriamo, collaboriamo bene”, ha detto ai giornalisti. “Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che l’UE onorerà i suoi impegni”, ha aggiunto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, in riferimento ai 3 miliardi.
NUOVI FRONTI
Il nodo adesso è legato proprio agli esiti del “pareggio di Varna”. Perché riguarda due altri fronti che sono non solo aperti ma altamente incontrollati. Dopo l’ingresso turco ad Afrin, il dossier Siria si arricchisce di un ulteriore capitolo legato alla presenza invasiva di Ankara in quel teatro di guerra, con tutte le implicazioni che persistono sull’asse Washington-Mosca. In più le prossime elezioni egiziane (dall’esito scontato) non potranno fare altro che potenziare il cono di influenza del generale Al Sisi nello stesso quadrante a cui Erdogan guarda con bramosia: l’Iraq.
Ankara di fatto oltre a condividere i confini con Siria e Iraq, vi riverbera l’influenza russa nella regione del Mar Nero (si veda il caso della nuova centrale nucleare), ma nonostate ciò l’Ue resta ancora il suo maggiore investitore straniero e partner commerciale. Significa che se non riuscirà ad essere la Nato quel terreno comune che al momento manca, potrebbero esserlo gli affari o i migranti.
Ma con il rischio di accrescere il livello di testosterone in un fazzoletto di terre che invece avrebbe necessità di una normalizzazione e di una stretegia di lungo periodo, anche da parte di Bruxelles.
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