Facebook, il social network più popolare al mondo con i suoi oltre 2 miliardi di utenti, non sarà più lo stesso dopo la crisi di credibilità che lo ha travolto nel caso Cambridge Analytica. Tuttavia, la scomoda posizione assunta dal colosso di Menlo Park, potrebbe aver contribuito ad una decisiva nuova alba di regole per i colossi della Rete e per la loro natura mediatica. Ad esserne convinto è il professor Mario Morcellini, commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), che ne parla in una conversazione con Formiche.net.
Professore, il ceo e fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg ha parlato al Congresso americano del caso CA, ma il suo intervento è stato trasmesso in diretta quasi in mondovisione. Perché le sue parole hanno avuto così tanta risonanza?
La modernità che ormai pervade ogni fibra della nostra esistenza trasforma anche un evento autocritico in un atto di comunicazione quasi planetario. Non è un caso che le testate giornalistiche aprano oggi con l’incontro di Zuckerberg al Congresso americano. Ma è bene aggiungere che la risonanza dei suoi interventi è scritta sia nella sua autorevolezza personale che nella drammaticità della crisi di fiducia e reputazione che ha colpito FB.
Ne è scaturita un’occasione assai intrigante in cui il Ceo di FB ha offerto chiara evidenza di un radicale ripensamento del ruolo del social, come se per la prima volta avesse accettato (sino in fondo) il peso della responsabilità che si connette automaticamente ad un’innovazione sociale rivoluzionaria come quella alimentata dalla sua piattaforma.
Che cosa intende?
Più volte abbiamo sentito i colossi del Web dire o promettere che avrebbero posto maggiore attenzione alla privacy degli utenti. Se le buone occasioni si fossero trasformate in convinte e sistematiche aperture ad una cultura della regolazione, la crisi di CA non avrebbe avuto lo stesso impatto e forse addirittura poteva essere evitata. Ironicamente mi sento di poter sollecitare tutti i potentati del sociale di dotarsi di un comitato rischi.
In Italia, ad esempio, FB domestica ha partecipato con i principali Over the Top, al Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali, avviato dall’Autorità a fine novembre 2017 e quindi ben prima delle polemiche di queste settimane.
A che cosa è servito questo tavolo?
Il suo obiettivo era ed è promuovere l’autoregolamentazione delle piattaforme e lo scambio di buone prassi per l’individuazione ed il contrasto dei fenomeni di disinformazione online frutto di strategie mirate. Avevamo invitato al tavolo di autoregolamentazione tutti i soggetti che ritenevamo dovessero essere coinvolti e va dato atto al colosso di Menlo Park di avervi non solo partecipato, ma anche di aver collaborato alla stesura delle Linee Guida per la campagna elettorale.
È una riprova che per noi, quel che è accaduto non è stata una sorpresa, anche se non potevamo certo sapere in quale punto il sistema avrebbe manifestato una così devastante smagliatura.
Dunque avevate già dei sospetti che qualcosa sarebbe accaduto?
Non avremmo pensato “e progettato” un Tavolo sulla disinformazione se non avessimo meditato, come singoli e come Autorità, che le premesse per una “tempesta perfetta” c’erano tutte. Ciò non toglie che ritardi ci sono stati sia da parte dei grandi player che delle istituzioni: dunque anche a casa nostra. Del resto le buone intenzioni tardano sempre a tradursi in azioni concrete.
Certo, dopo una crisi così grave, sarà più facile accettare una critica più serrata alle banali ideologie della deregulation, spesso tradotte in una ingenua euforia per la comunicazione “dal basso”. E’ stata anche troppo lunga la stagione ispirata alla bellezza di una libertà comunicativa senza limiti, che poi si è tradotta nella scelta etica più socialmente irresponsabile: laissez-faire.
A ben vedere, questo imperativo, così caro alla retorica neoliberale, si traduce in rete ovviamente nel dite quel che volete; non astenetevi dal dire la prima cosa che vi viene in mente. L’episodio che ha colpito FB può trasformarsi in una benedizione se congeda un po’ di slogan di maniera sul web libero e democratico indicando una grande vertenza sulla cultura della regolazione che metta in sicurezza le società democratiche. Incluso la nostra.
Allora perché nulla è stato fatto dai colossi, nonostante l’evidenza degli allarmi?
Intanto siamo di fronte ad una sostanziale vacatio legislativa, che fa seguito ad una stagione di sottovalutazione della necessità di regolare, certo non in modo invasivo e precettistico, il mondo nuovo. Ferma restando la possibilità di ogni piattaforma di autoregolamentarsi, che è ovviamente in questo momento il nostro imperativo etico, occorrerà pensare anche ad interventi organici che garantiscano la società insieme alla qualità dei nuovi processi di comunicazione.
Di che tipo?
C’è un problema di equità della regolazione: Non possiamo più ammettere che, in un settore delicato come quello della comunicazione digitale, si registri da un lato una parte di operatori iper-regolati, mentre si manifesta aggressivamente un ben più ampio mondo di soggetti a cui tutto è possibile. Già questo stressa una concezione equilibrata dello Stato di diritto e allontana una vera concorrenza.
Detto in altri termini, è venuto il momento di contestare la proliferazione di contenuti che risultino strutturalmente anonimi, ed è a questo problema primario che bisogna porre rimedio. Senza un intervento di questo genere le Autorità regolatorie, e dunque non solo la nostra, hanno meno ossigeno per poter intervenire convincentemente. Del resto se un “Registro degli operatori della comunicazione” vuole essere plausibile deve diventare universale e dunque includere tutti coloro che la fanno.
Torniamo all’Italia. Crede che anche le elezioni italiane siano state manipolate?
Penso di no o che almeno non sia stata una violazione decisiva in termini di impatto. I risultati del 4 marzo sono stati abbastanza netti da escludere uno scenario simile. Il numero dei casi non lascia pensare a distorsioni sostanziali.
ciò non toglie che le campagne elettorali debbano essere messe in sicurezza in termini di garanzia di trasparenza; non possiamo ammettere che in una qualunque società democratica si registrino azioni di manipolazione e orientamento sugli individui.
Vi aspettate che sia il nuovo Parlamento ad occuparsene?
Ovviamente lo auspichiamo e cercheremo di esercitare il dovuto “potere di segnalazione anzitutto al Governo”. Ma sin d’ora, tutte le Autorità garanti – la nostra, ma anche della Privacy e della Concorrenza -, ognuna orientata specificatamente al proprio spazio di competenza – possano sollecitare Facebook e le altre piattaforme ad adottare misure adeguate per ripristinare quella condizione essenziale di sicurezza e di condivisione che è la fiducia nelle tecnologie.