“Le serie sono una forma di geopolitica, riescono a far capire il reale più del reale” e se a dirlo e Carlo Freccero non si può che credergli. Autore televisivo, scrittore, massmediologo ed esperto di comunicazione politica, in una conversazione con Formiche.net approfondisce un tema a lui caro, lo storytelling politico, partendo dalla fiction americana, capace, spiega Freccero, di anticipare i tempi più di qualsiasi altra forma di comunicazione, anche l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Mentre in Italia…
Ha detto che la fiction è più vera del vero, cosa significa?
È molto semplice, si deve intendere la fiction come storytelling critico del reale. Per questo, in qualche modo è capace di anticipare questo reale, perché sa afferrare lo spirito del tempo. Se io penso e leggo Hause of Cards, che era il ritratto perfetto del clintonismo nelle sue declinazioni, era inevitabile che poi Trump arrivasse. E non solo. Un altro esempio clamoroso di come le serie abbiano riscritto il potere è 24, che aveva anticipato già l’11 settembre, quello che viene chiamato lo stato d’eccezione, e potrei continuare. Ma c’è un dato di fatto molto importante, ossia che la politica degli Usa si può capire attraverso la visione critica della serialità americana, che smaschera, fa un debunking feroce della realtà che i giornali mainstream non sono capaci di fare.
Si tratta di una nuova forma di storytelling?
La tesi che sviluppo nella prefazione del libro “Telerivoluzione” di Alan Sepinwall è appunto questa. L’applicazione dello schema Propp alla politica americana, che spiega come si costruisce uno storytelling. Ossia che c’è un equilibrio e poi la sua rottura. Se io penso alla storia americana, alla storia dell’impero americano dopo il 2001, ci sono due fatti molto importanti, di cui il primo è appunto l’11 settembre. A questo, si aggiunge la crisi economica del 2008. Il sogno americano, con questa crisi, provoca una rottura dell’equilibrio e, come spiega Propp, alla crisi di questo equilibrio il sogno americano si trasforma in un incubo. Da qui nasce l’eroe negativo.
E la fiction come riflette tutto questo?
Ho sempre sostenuto che in America il pensiero critico si esprimesse non attraverso test teorici e filosofici, come in Europa, ma attraverso la narrazione. La narrativa americana, scritta o filmata, ha sempre avuto due modi di descrivere la realtà: quello ingenuo ed entusiastico dei prodotti di massa e quello critico e a volte disperato del cinema impegnato, anche hollywoodiano, oggi quasi estinto. Lo storytelling critico è la matrice dei nuovi telefim d’autore, caustici e molto più duri nei confronti della società, di quanto non possa esserlo l’informazione. La censura del “politicamente corretto” esaspera l’ortodossia e la banalità dei commenti politici.
Una critica alla società attraverso la finzione, quindi.
Il modello tipico di storytelling critico è la distopia, che rappresenta lo scenario più consueto dei racconti contemporanei di fantascienza. La distopia è l’esempio di uno scenatio narrativo costruito non per divertire o intrattenere, ma per farci provare disagio e riflettere sulle nostre stesse vite. Abbandonato l’ottimismo positivistico nel progresso, la fantascienza è una narrativa critica del futuro prossimo, quando non già del presente.
Anche la presidenza di Obama può essere letta secondo questo schema?
Obama è già descritto bene nella serie 24, in cui c’è il presidente nero. Chiaramente quello che è molto interessante nelle serie soprattutto della Hbo – la rete più vicina a noi europei – è che lavora sul potere, a differenza di Netflix che lavora sugli adolescenti e Amazon che lavora sul gender. È chiaro che Obama era già descritto, ma il problema è che il Partito democratico – che è il partito del potere, dei poteri forti – è stato contaminato totalmente e ha creato poi la risposta populista di Trump, la negatività, di fronte ai detentori della globalizzazione, delle finanze. Era inevitabile che ci fosse questa rottura.
E in Italia? La fiction che ruolo ha?
Purtroppo è impossibile che succeda anche in Italia che le fiction leggano la realtà prima che accada, perché la maggior parte sono prodotte da Rai1 e da Canale 5. La golden age americana nasce già alla fine degli anni ’80 con la moltiplicazione dei canali, prima Fox, poi tutti i canali via cavo. La moltiplicazione delle reti fa in modo che si possa sviluppare un lavoro per pubblici di nicchia, a cui poi si può identificare la rete che li trasmette. Quando la televisione comincia a declinarsi come rete e a lavorare anche per dei pubblici minoritari che hanno competenze culturali differenti ecco che nasce la ricchezza.
La fiction come prodotto culturale alto, allora?
Sostengo addirittura che la fiction abbia sostituito il film d’autore con una differenza molto importante: che il film d’autore si basa sulla visione del regista, quindi in qualche modo è una visione narcisistica legata a una individualità. Lo showrunner invece si basa su una categoria che è lo spirito del tempo e grazie a questo può leggere la realtà in divenire.