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I consigli di banche e assicurazioni per una finanza più green

Banche e assicurazioni possono salvare il pianeta nel nome dell’ambiente, possibilmente senza rimetterci l’intero proprio business? Certo che sì, ma a un patto. E cioè che ognuno faccia la sua parte. La politica, le istituzioni e per l’appunto gli intermediari finanziari, credito o assicurazioni che siano. Il punto di caduta è però un altro. E cioè che la questione è difficilmente rimandabile perché il conto alla rovescia per salvare la terra è iniziato. Questo il senso dell’incontro Finanza&Ambiente organizzato questa mattina presso le Scuderia di Palazzo Altieri dall’Anspc, l’associazione per lo studio dei problemi del credito, presieduta da Ercole Pellicanò.

La kermesse, moderata dal presidente di Autostrade, Fabio Cerchiai, ha visto i contributi, tra gli altri, del direttore generale di Bankitalia e presidente Ivass, Salvatore Rossi, di Paolo Garonna, dg della Febaf, la federazione delle banche e delle assicurazioni e di Dario Focarelli, dg dell’Ania, l’associazione di categoria del comparto assicurativo.

Prima questione, quanto conta oggi l’ambiente per la finanza? Domanda che ha chiamato direttamente in causa Rossi, il quale non ha avuto difficoltà ad ammettere che sì, forse di ambiente si parla ancora troppo poco, non nelle sedi più opportune almeno. “Il tema di questo convegno non è, diciamolo francamente, fra i più dibattuti in questa fase storica. Addetti ai lavori e cittadini semplici discutono piuttosto di applicazioni della tecnologia alla finanza, di modelli di business degli operatori, di tutela dei risparmiatori. Più in generale, l’ambientalismo non è oggi molto di moda”, ha premesso Rossi.

Si tratta di un tema “politicamente corretto, quindi sospettato di retorica inconcludente. Prendiamo il concetto di finanza sostenibile, elaborato recentemente da organismi internazionali e da governi nazionali. Molti pensano oggi che esso discenda solo da una scelta opportunistica: mostrare, dopo la crisi di dieci anni fa, che anche la finanza ha un cuore, anzi un cuore verde”.

Di qui una prima vera strigliata al mondo della finanza. Nel ricordare come nel 2015 le inondazioni in Italia siano costate alle assicurazioni circa quasi tre miliardi di euro, Rossi ha spiegato come “le questioni ambientali, in particolare quelle legate al cambiamento climatico, sono serie e importanti. La retorica con cui a volte sono state proposte e dibattute non ne diminuisce la centralità per il futuro delle nostre società. I sistemi finanziari ne sono coinvolti in modo pesante, sia indirettamente sia direttamente”. Di qui l’invito a una presa di coscienza “ambientale” al mondo della finanza, “sia operatori di mercato, come banche e assicurazioni, o regolatori e supervisori”.

Il senso dietro le parole del dg Bankitalia è chiaro. I disastri naturali costano, alle banche che si vedono le imprese danneggiate non più in grado di rimborsare i prestiti concessi e alle assicurazioni, chiamate a onorare le polizze sottoscritte per proteggere i beni materiali e le attività produttive colpite. E allora, tanto per cominciare lo Stato potrebbe metterci del suo, invitando il mondo produttivo a valutare bene dove e come impiantare le proprie attività, riducendo sensibilmente il rischio di catastrofi naturali.  “L’operatore pubblico è chiamato a compensare questo fallimento del mercato sviluppando una sua capacità di intelligence: potenziare la raccolta e la diffusione di informazioni sui rischi climatici e affinare quadri concettuali sulla propagazione di questi rischi all’economia e al sistema finanziario”.

Ma anche l’Europa non può e non deve stare alla finestra. Qui entrano in gioco più direttamente le banche, le quali, ha ricordato Rossi, sono le più esposte quando si parla di eventi climatici che impattano sui territori. E allora, perché non chiedere alla Vigilanza bancaria europea di rendere meno stringenti i criteri per la concessione di prestiti a chi investe nel green. E questo per allargare le maglie dei finanziamenti a settori, quelli sostenibili, meno rischiosi di quelli che invece non lo sono.

“Potrebbe però non essere una buona idea lasciare che banche e assicurazioni siano esposte alle perdite, che come abbiamo visto mostrano una tendenza di lungo termine crescente, derivanti da eventi climatici estremi senza che il capitale ne tenga conto”, ha premesso Rossi. Dunque, serve “un trattamento prudenziale ad hoc, che abbassi i requisiti per prestiti o investimenti sostenibili, e quindi meno rischiosi, rispetto a quelli fissati per gli altri attivi. Il tutto incentiverebbe l’orientamento del mercato verso i primi e renderebbe tutto il sistema più solido”.

Un’intervento in chiave di adattamento delle regole per la finanza ai cambiamenti climatici è arrivato anche dal numero due dell’Ania, Focarelli. “Avere un territorio sicuro, dove costruire, è un elemento essenziale per il Paese. Trovo molto più utile comunicare ai cittadini dove è possibile realizzare un qualcosa su un territorio sicuro anziché intervenire ex post, magari dopo un evento climatico”. Focarelli ha poi ricordato in questo senso l’esempio inglese, “dove da diversi anni è presente un modello di questo tipo, volto a proteggere cittadini ma anche le imprese assicurative”.

 



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