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L’intesa Kim-Trump funziona. Nord Corea avvia denuclearizzazione?

La Corea del Nord vuole contribuire “al processo globale del disarmo nucleare”, lo ha detto il dittatore Kim Jong-un in un comunicato stampa – diffuso anche in inglese dall’agenzia governativa KCNA.

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In sei punti secchi Kim ha annunciato la decisione della satrapia di Pyongyang di sospendere i test sulle testate e quelli sui missili balistici che dovrebbero trasportarle – insomma le prove armate che hanno caratterizzato tutto il 2017 in quel crescendo di tensioni dove i nordcoreani usvano i test come dimostrazione provocatoria del proprio processo atomico, e gli Stati Uniti rispondevano aggressivi ventilando ipotesi di attacco.

Ora le cose sembrano cambiate: Kim incontrerà il presidente americano, Donald Trump, tra qualche settimana, in un vertice fino a pochi mesi del tutto inaspettato, mediato grazie al gran lavoro diplomatico del sudcoreano Moon Jae-in; uno con cui Trump non ha un rapporto formidabile, ma che ha tessuto le fila di un network di contatti per la pace che è partito dalle Olimpiadi invernali per arrivare all’incontro Washington-Pyongyang.

Tra una settimana, il 27 aprile, Kim incontrerà Moon in un altro di questi meeting diplomatici dal sapore inusuale. Corea del Sud e del Nord hanno riaperto i canali di colloquio, e si sono sedute già a tavoli di confronto. La linea di comunicazione intra-coreana che passa dall’avamposto di deconflicting a Panmunjeom, sulla linea demilitarizzata, non è mai stata così attiva negli ultimi nove anni.

Attenzione, una riflessione prima di andare avanti: quello pubblicato da KCNA sembra più una comunicazione sull’uso strategico delle armi nucleari e dei test collegati, piuttosto che un impegno specifico verso la denuclearizzazione: Kim dice infatti di fermare i test perché non ne ha più bisogno, visto che ormai “le armi atomiche le abbiamo”. Ma, nel “favorevole clima internazionale”, questa può essere anche una posizione dovuta per giustificare la nuova linea nel suo paese, e allora val pena sottolineare altri segnali positivi.

Negli ultimi giorni, oltre all’apertura atomica, Pyongyang ha dato un’altra pennellata rassicurante sulla situazione: la Corea del Nord ha detto di essere disposta ad accettare la presenza delle truppe americane nella penisola. Le forze statunitensi di stanza in Corea del Sud (insieme al Giappone e alla pluri-minacciata Guam, postazioni strategiche nel Pacifico) sono da sempre il punto attorno a cui ruota la posizione nordcoreana: secondo Kim è per questa presenza che si è reso necessario lo sviluppo di un programma atomico in funzione di deterrenza.

La US Force South Korea è stato da sempre un elemento detestato non solo da Pyongyang, ma anche da Pechino. Per i cinesi è il simbolo dell’impronta imperialista americana su una regione geografica dove il Dragone vorrebbe invece giocare un’influenza monopolista. Il passo indietro di Kim sul principale dei punti condivisi con la Cina è per certi versi quasi più importante di quello sui test nucleari.

Trump intanto si gode il successo (forse pensando più all’aspetto collegato all’accettazione delle presenza americane che al de-nuke nordcoreano, su cui ci sarà da lavorare): la diplomazia ha vinto grazie ai passi forti di Moon, è vero, ma possibile che il mix di minacce e apertura con cui la Casa Bianca ha affrontato il dossier in quest’anno e mezzo possa aver mosso Pyongyang.

Nei giorni scorsi è stato reso pubblico il primo contatto di alto livello tra Stati Uniti e Corea del Nord, con l’attuale capo della Cia Mike Pompeo che è andato a tenere colloqui a Pyongyang. Pompeo non viaggiava da direttore dell’agenzia d’intelligence, ma già da segretario di Stato, ruolo per cui è stato nominato da Trump ed è in corso di conferma da parte del Senato.

Quanto peso abbiano questi incontri diplomatici internazionali – comprese le mosse con cui la Cina ha cercato di intestarsi nuovamente la pratica giocando di anticipo su Washington e ospitando un super-vertice tra Kim e Xi Jinping – sulle reali intenzioni nordcoreane non è facile capirlo.

Per il momento Kim sembra voler accontentare gli americani (tre cittadini statunitensi ingiustamente detenuti nelle carceri nordcoreane saranno rilasciati a breve, in questo clima di distensione generale), ma non è chiaro quanto Pyongyang stia cercando di giocare le sue carte per ottenere qualcosa in più nei negoziati.

Possibile anche che i passi nordcoreani siano finalizzati a chiudere velocemente accordi locali: quello che fondamentalmente unisce le due parti della penisola (e la Cina) è il pensiero che la crisi debba risolta attraverso il dialogo intracoreano – un approccio che potrebbe sembrar buono per l’isolazionismo trumpiano, ma è impossibile che gli Stati Uniti (e la Cina) non vogliano comunque un ruolo.

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