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M5S e Pd al governo insieme: si può e (forse) si deve

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Il mandato esplorativo del presidente Roberto Fico si concluderà giovedì con un nulla di fatto sul piano “concreto”, ma questa non è una notizia poiché non c’è mai stato un momento in queste ore per poterla pensare diversamente. Però può segnare un passo avanti sotto il profilo dell’intesa politica tra M5S e Pd, se non altro nei toni (che sono diventati abbastanza civili).

Di certo comunque i giochi veri sono destinati ad aprirsi solo dopo le elezioni del Friuli, che porteranno Massimiliano Fedriga a prendere il posto di Debora Serracchiani, segnando così il terzo successo consecutivo (dopo Sicilia e Molise) del centrodestra nelle ultime tre consultazioni regionali.

E saranno giochi piuttosto complicati, perché una certezza c’è, dopo settimane di trattative inconcludenti che hanno anche logorato alcuni rapporti di fiducia (persino al Quirinale, dove c’è fastidio soprattutto verso le giravolte di Matteo Salvini): l’accordo tra i due vincitori del 4 marzo non c’è e non ci sarà, poiché troppi ostacoli ha sul suo cammino.

Ecco allora restare in campo due sole ipotesi, prima di giungere all’appello del Capo dello Stato per un governo di “salute pubblica”: il centrodestra che si cerca i voti mancanti in Parlamento (con Salvini a Palazzo Chigi) o l’accordo tra M5S e Pd.

Uscendo dall’incontro con il presidente Fico il reggente Martina ha usato parole caute ma dal significato chiarissimo: nel partito c’è voglia di provare quest’ultimo percorso, pur senza svendere la dignità sull’altare del governo purchessia.

Certo, resta un fronte interno tutt’altro che favorevole, ispirato da Matteo Renzi e dalla sua componente, con l’ex premier che però sceglie una prudente linea del silenzio, segno di una volontà da ragionarci su senza prendere troppi impegni in anticipo. Il dibattito a sinistra è acceso e lo stesso dicasi dentro il movimento di Grillo e Di Maio, con pareri ovviamente discordi.

Va detto però che questa ipotesi di governo M5S-Pd ha senso e dovrebbe essere esplorata da tutti i protagonisti con animo costruttivo, non solo per il “bene del Paese”, espressione tanto vera quanto retorica, ma anche per due rilevanti ragioni politiche, che non possono essere trascurate.

La prima attiene a una scelta compiuta proprio dal Pd sul finire della scorsa legislatura, cioè volere con forza una legge elettorale di impianto marcatamente proporzionale (complice la Suprema Corte), inevitabile “preambolo” ad una stagione di accordi di governo “post voto” tra soggetti politici accettabilmente affini.
Pd e M5S si sono aspramente combattuti per anni e in particolare negli ultimi dodici mesi, questo è vero. Però è anche altrettanto vero che c’è una significativa contiguità tra gli elettori, poiché non è follia indicare nel movimento grillino qualcosa che, magari di poco, ha più a che fare con una idea di sinistra che di destra.

E comunque con questa legge solo un Parlamento così ci poteva arrivare, quindi è doveroso trarne le conseguenze. In secondo luogo c’è un tema di enorme rilevanza, che è la “istituzionalizzazione” del M5S, unico soggetto dell’attuale panorama politico nazionale che non ha mai avuto ruolo di governo. Ebbene sotto questo profilo è chiaro che bisogna portare in maggioranza un movimento che ha preso il 32% dei voti da solo, perché non farlo sarebbe come lasciare enormi tossine nel sistema.
Molti nel Pd però temono che questa sia la tomba del partito.

Io non la penso così, soprattutto perché il Pd ha iniziato ad andare male alle elezioni non tanto per effetto della sua posizione al governo, quanto per la mostruosa dose di litigio interno messa in campo, anche con fenomeni di contestazione a Renzi onestamente esagerati.

Insomma il Pd incarna una posizione responsabile, che può essere giocata anche in coalizione con il M5S, portandolo così a misurarsi giorno per giorno con la fatica di decidere, firmare carte, prendere impegni. Governare non fa perdere voti per forza (Angela Merkel insegna), è pasticciare o litigare stando al governo che diventa un calvario. I numeri sono lì a dimostrarlo.

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