La mobilità elettrica avanza, il petrolio arretra. Nulla di nuovo se non fosse che stavolta ci sono i numeri a dare la cifra del progresso dell’energia verde applicata ai trasporti, a discapito di quella tradizionale, basta sugli idrocarburi. Il fatto è che almeno per quanto riguarda il movimento delle persone nel mondo, molto sta cambiando. Persino la Formula 1 si è adeguata al cambiamento, allestendo un apposito circuito di Formula E (qui l’intervista di Formiche.net a Ludovico Fois, consigliere delle relazioni esterne dell’Aci, promotore del Gp di Formula E a Roma), ovvero bolidi da 250 all’ora a motore elettrico.
Le cifre del cambiamento sono quelle appena diffuse da Bloomberg, in un report (qui il testo) dedicato all’impatto della mobilità elettrica, soprattutto quella urbana legata al tpl, sull’industria petrolifera. Per ogni mille autobus alimentati a batteria sulla strada, per esempio, circa 500 barili al giorno di gasolio saranno rimossi dal mercato e questo perché più sono i motori elettrici in circolazione minore è la domanda di carburante. A questo ritmo, nel 2018 il volume di carburante non necessario potrebbe aumentare del 37% a 279 mila barili al giorno a causa del trasporto elettrico con auto e camion leggeri, una quantità che corrisponde a circa tutto il petrolio che consuma la Grecia.
Secondo Bloomberg la sola rete di trasporto pubblico londinese consuma circa 1,5 milioni di barili all’anno di carburante. Se l’intera flotta divenisse elettrica, abbatterebbe i consumi di 430 barili al giorno riducendo il consumo di gasolio del Regno Unito di circa lo 0,7 per cento, secondo le stime di Bloomberg. Tutto ciò dunque sta iniziando ad avere un impatto visibile sulla domanda mondiale di carburante, molto maggiore rispetto a quello dovuto alla vendita di auto elettriche come quelle prodotte da Tesla, Nissan e Toyota, soprattutto tenendo conto che un autobus consuma circa 30 volte più carburante di un’auto di dimensioni medie.
A guidare la rivoluzione della mobilità elettrica c’è però soprattutto un Paese, che guarda caso è quello che soffre maggiormente gli effetti dell’inquinamento: la Cina, che attualmente possiede il 99% dei 385 mila bus elettrici presenti nel mondo nel 2017. Il caso del Dragone è emblematico visto che ogni cinque settimane le città cinesi aggiungono 9.500 veicoli ad emissioni zero alla propria flotta, l’equivalente dell’intera flotta metropolitana della città di Londra.
Nella sola città di Shenzhen, nel 2016, sono entrati in servizio 14mila autobus elettrici. Fino ad ora l’azienda locale Byd, che controlla il 13% del mercato nazionale, ne ha costruiti 35 mila, con una capacità produttiva di 15mila ebus l’anno. In questo modo, negli ultimi 10 anni, la megalopoli ha risparmiato 6,8 miliardi di litri di carburante, pur facendo percorrere ai suoi ebus 17 miliardi di chilometri. Nel 2016 in Cina sono stati venduti 131 mila veicoli elettrici, 116 mila ebus e 16 mila ecars. Nel 2017 sono stati 105 mila i veicoli venduti, di cui 90mila ebus e 16mila e-cars.
“Questo settore sta raggiungendo un punto di svolta epocale”, ha dichiarato Colin Mckerracher, responsabile per Advanced transport presso l’unità di ricerca londinese di Bloomberg, “le amministrazioni cittadine di tutto il mondo hanno la necessità di affrontare problemi urgenti relativi alla sempre peggiore qualità dell’aria. L’acquisto di autobus elettrici è uno dei passi obbligati a cui devono attenersi se vogliono migliorare la situazione ambientale e la qualità della vita dei cittadini”.