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La nomina di Pompeo è anche un messaggio agli alleati: l’America c’è

denuclearizzazione

Il Senato americano ha confermato ieri l’incarico che il presidente Donald Trump ha affidato all’ex direttore della Cia, Mike Pompeo, che è così diventato ufficialmente il segretario di Stato degli Stati Uniti.

Nel giro di pochissimo tempo, la Casa Bianca ha dato il primo grosso risalto diplomatico a Pompeo, diffondendo la foto del suo incontro con Kim Jong-un: una mossa per consolidare la scelta di Trump (il suo segretario già al lavoro in prima persona su uno dei dossier più delicati del momento) e per non restare indietro rispetto al vertice intra-coreano che si stava svolgendo in quelle stesse ore.

Il passaggio senatoriale di Pompeo è stato relativamente semplice: nelle scorse settimane aveva accuratamente preparato la sua audizione in Commissione Esteri in modo da porsi come un elemento non divisivo, anzi, in grado di lavorare su una linea che gli avrebbe permesso di accaparrarsi anche un minimo del consenso democratico. Pompeo è un falco repubblicano che viene dal Tea Party del Kansas, ha un’ottima empatia con Trump, ma ha visioni molto più classiche; per esempio, come tanti nell’amministrazione, è convinto che serve stringere il cappio attorno alla Russia, quando invece il presidente crede ancora in una qualche possibilità di dialogo.

Da segretario nominato aveva contattato alcuni suoi predecessori democratici e alti funzionari del settore esteri del partito, e per prima Hillary Clinton –nemica trumpiana e spesso attaccata anche da Pompeo – s’era messa disposizione per aiutare il futuro capo di Foggy Bottom nel passaggio di consegne. Forse anche per questo è riuscito a raccogliere 57 consensi al Senato, ossia a portarsi a casa sette voti dal caucus Dem (tutti da membri che devono affrontare la rielezione alle mid-term di novembre, come Heidi Heidkamp del North Dakota, e anche questo è un segnale: i Dem cercano di ricucire il gap con l’elettorato, soprattutto in quegli stati dove Trump ha trionfato alle presidenziali).

Una fonte diplomatica ben informata sugli affari interni degli Stati Uniti, ci spiega (in forma anonima, in modo da poter parlare più liberamente), che tra i motivi che hanno mosso i congressisti americani a confermare rapidamente Pompeo c’è la ministeriale Nato di Bruxelles, che inizierà oggi, 27 aprile. Appena espletate le formalità, il nuovo segretario s’è infatti diretto alla Andrews Air Base dove lo aspettava l’aereo che lo ha accompagnato in Europa (dopo la tappa Nato, per altro, andrà a Riad, poi Gerusalemme e infine Amman, a far visita ad altri tre partner fondamentali per l’America).

Washington non voleva inviare una lame duck come sarebbe stato l’uscente Rex Tillerson – a cui ormai il presidente aveva tolto ogni briciolo di fiducia e dunque sarebbe andato davanti agli alleati svuotato dei propri poteri. Il messaggio è chiaro: ci siamo e siamo solidi.

“Sia la Casa Bianca sia lo stesso Pompeo hanno molto pressato perché la conferma arrivasse in tempo per questo appuntamento che è considerato cruciale: l’Europa rappresenta oggi un anello più debole, e l’Italia lo è a maggior ragione”, ci dice la fonte.

Pompeo ha giurato per il mandato davanti al giudice della Corte Suprema Samuel Alito, e forse non è un caso che la scelta sia ricaduta su un altro proud Italian/American: “In generale l’arrivo di Pompeo è da salutare come una buona notizia per Roma, visto che il segretario di Stato americano è orgoglioso della sue origini italiane”, aggiunge il contatto di Formiche.net spiegando che questa potrebbe essere una porta verso gli Stati Uniti – l’appeal personale è per esempio usato dal presidente francese Emmanuel Macron per giocare le sue carte con la Casa Bianca, in nome dell’Europa. (Washington ha già programmato un breve incontro-saluto con il ministro degli Esteri italiano – quello sì un’anatra zoppa, vista la situazione a Roma – nell’ambito del vertice Nato).

Pompeo ha già un’agenda pienissima (tra l’altro, è notevole la sua presenza a Gerusalemme la prossima settimana: Tillerson non c’è mai andato, per deferenza nei confronti di Jared Kushner, genero a cui Trump ha affidato il dossier israelo-palestinese). Per esempio, il segretario dovrà gestire la preparazione del vertice con il nordcoreano Kim (affare già aperto, visto che l’amministrazione l’ha inviato a Pyongyang a cercare di creare il terreno per un incontro storico), ma anche la situazione siriana (dove Pompeo dovrà contribuire a forgiare una strategia), la crisi dei rapporti con la Russia (di cui parlerà con gli alleati Nato), la Cina, e altri dossier scomodi come per esempio quello venezuelano (che si porta dietro l’enorme questione dell’imprinting statunitense in Sudamerica).

Viste le circostanze, il Senato americano ha cercato di accelerare i tempi e rendere Pompeo immediatamente operativo, anche perché con ogni probabilità il più grosso dei problemi che si troverà ad affrontare il segretario sarà quello interno al suo stesso dipartimento, diventato un’enorme scatolone che deve essere riorganizzato in forma operativa, al momento demoralizzato dai tagli da manager aziendale di Tillerson.

 

(Foto: White House Photo, la stretta di mano tra Mike Pompeo e Kim Jong-un)

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