Durante un’intervista concessa a fine marzo alla Bbc il comandante delle forze armate americane schierate in Afghanistan, il generale quattro stelle già capo della mitica 82nd Airborne John Nicholson, è tornato a dichiarare che la Russia sta passando armi ai Talebani.
È da mesi che gli americani battono su questo, anche se in diversi ai vertici Nato chiedono cautela. L’accusa di Nicholson è in effetti diretta e pesantissima, e si inquadra nell’attuale intricatissimo contesto. È per certi versi anche un’ulteriore testimonianza di come l’atteggiamento di Washington verso Mosca sia dicotomico. Da una parte ci sono denunce di questo genere, dall’altra le aperture con cui il presidente Donald Trump vuole tenere in piedi le sue speranze/promesse elettorali invitando addirittura il suo omologo Vladimir Putin alla Casa Bianca per un incontro diretto — in mezzo decisioni come quella sull’espulsione dal Paese di finti diplomatici russi allineando gli Stati Uniti sull’asse atlantista rianimato da Londra con il caso Skripal.
La Russia respinge queste accuse (dice che la Nato la usa come scusa per giustificare i propri fallimenti con Kabul): n molto anche tra gli occidentali sostengono che mancano le prove, gli afghani fanno dichiarazioni contraddittorie (tra certezze e smentite), però la voce del generale in diretta televisiva ha un certo peso — tra l’altro: l’alto ufficiale americano ha scelto di dirlo alla principale (e più internazionale) delle reti inglesi, marcando ancora l’asse che s’è riconsolidato tra Washington e Londra, rinvigorito dalla Brexit che piace a Trump ma ancor di più dall’allineamento dopo l’avvelenamento dell’ex spia russa.
Secondo le informazioni raccolte dai militari (e dall’intelligence militare) americani la Russia starebbe fornendo ai talebani visori notturni, mitragliatrici leggere e pesanti, armi di piccolo calibro, attraverso il confine tajiko. Nicholson ha spiegato all’emittente inglese che Mosca ha speculato ingigantendo le dimensioni dello Stato islamico nel Khorasan, la provincia afghana del Califfato (che travalica il confine anche nelle aree limitrofe). E lo ha fatto per giustificare questo passaggio cladenstino di armi ai Taliban.
I talebani afghani hanno visioni ideologicamente piuttosto diverse dai baghdadisti, al punto che le due organizzazioni sono nemiche, si combattono (e hanno innescato una competizione jihadista deleteria per l’Afghanistan). I russi sostenendo i talebani, nazionalisti e fondamentalmente vocati a una causa locale, cercherebbero di tenersi lontani gli uomini del Califfato dai propri confini (molti dalla Russia e dagli ex paesi sovietici hanno fatto la hijra jihadista verso la Siria e l’Iraq, creando per Mosca il problema dei foreign fighters di ritorno). In realtà, però, dice Nicholson che questa operazione di counter terrorism clandestina ha anche un secondo fine, che potrebbere essere primario per il Cremlino: destabilizzare l’Afghanistan.
Mosca vorrebbe sfruttare un vettore identico, ma di verso opposto, a quello usato dagli occidentali contro l’invasione sovietica (in Russia ormai il gruppo non è più visto come ostile, ma è considerato una realtà in Afghanistan, che non può essere ignorata) forse non tanto per complicare la vita all’impegno occidentale, ma perché inasprendo la lotta al contingente occidentale nel paese fermerebbe sul suolo afghano eventuali ritorni da parte dei jihadisti finito nel Siraq.
I Talebani sono tornati fortissimi in Afghanistan: sono attivi nel 70 per cento del territorio, hanno fatto registrare il record di perdite all’esercito afghano. Il loro rafforzamento potrebbe tornare un punto d’attrazione per i jihadisti del sud-est asiatico.
Poco tempo fa il capo delle Forze armate americane, il generale Joseph Dunford, ha dichiarato che questo non sarà “uno dei” 17 anni di guerra (la lotta ai talebani è stato il primo passo della War On Terror post 9/11), per dire che il rinnovato coinvolgimento americano — frutto anche degli shift strategici che la caduta della dimensione statuale dell’IS s’è portato dietro e dell’aiuto europeo, per esempio tedesco, su questo fronte — cambierà le sorti della guerra.
Ma mentre a Kabul il presidente Ashraf Ghani sta cercando (per ora senza risultati) di riportare al tavolo negoziale i ribelli — che ora godono di una posizione di forza — da Mosca si segue una linea pericolosa. Fornire armi ai talebani significa che quelle armi saranno potenzialmente utilizzate dal gruppo estremista per attaccare le forze occidentali, come i contingenti italiani presenti nel Paese sotto egida Nato. Anche Cina e Iran hanno contatti aperti, più o meno riconosciuti, con il gruppo combattente.