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Aldo Moro e la fiducia in quell’accordo possibile

Aldo Moro

La storia dell’Italia repubblicana è stata caratterizzata da molte personalità di spicco. Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Giorgio Almirante, Amintore Fanfani, Pietro Nenni sono soltanto alcuni dei nomi che potrebbero essere evocati. Ognuno di loro, pur nelle diverse appartenenze ideali, aveva una propria peculiarità, che ne ha tratteggiato e delimitato il contributo, contrassegnandone la specificità storica.

Sicuramente Aldo Moro è stato tra i grandi che hanno offerto una guida incisiva e personale al cattolicesimo politico e all’idea stessa della Democrazia cristiana. Moro non era né decisionista e temperamentale come Amintore Fanfani, né pungente e tattico come Giulio Andreotti. La sua cultura, chiara fin dalla Costituente, è stata quella di un intellettuale, di un professore perfettamente convinto del ruolo che la Dc doveva svolgere insieme alle altre forze politiche: sostenitore di una visione di centrosinistra, ma soprattutto del carattere interlocutorio che deve avere chi gestisce il consenso.

Piero Craveri ha definito Moro il massimo rappresentante del sistema dei partiti, vale a dire di un’idea di democrazia come raffronto tra gli opposti soggetti rappresentativi della nazione. Ed egli lo è divenuto prima negli anni ’50, come acuto e paziente gestore del sistema delle correnti democristiane, e poi negli anni ’60, guidando il governo con il Psi, dopo che era asceso al vertice del suo partito.

Se c’è un tratto risolto e costante del moroteismo, persino nella tragica fase della prigionia, è la fiducia nell’accordo possibile, nel perseguire con l’altro non una conciliazione al ribasso, ma una intersezione minima di comunanza. Una consapevolezza metodologica, com’è noto, coronata nell’audace politica del compromesso storico, nella quale, tale era l’intento ultimo di Moro, la Dc potesse arginare insieme ai comunisti la violenza neofascista e quella brigatista.

Per rendersene conto è sufficiente rileggere il discorso che egli fece il 2 dicembre del 1974 per la fiducia al governo Dc-Pri: “Il rapporto tra noi e i comunisti è per sua natura dialettico. Una democrazia è caratterizzata, infatti, dall’alternativa e dal confronto”.

Se, tuttavia, fino alla fine degli anni ’60 l’alternativa tra i due partiti di massa era stata condizione del confronto, nei ’70 doveva essere il confronto a garantire la futura alternativa democratica. Una soluzione talmente alta, geniale e profetica da poter essere repressa soltanto con la sua crudele e spietata eliminazione personale.

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