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Ecco perché la Cina vuole salvare l’incontro tra Trump e Kim

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Il presidente americano Donald Trump durante questa settimana ha prima reso pubblica una lettera inviata personalmente al satrapo nordcoreano Kim Jong-un in cui comunicava che l’incontro in programma tra i due il 12 giugno (a Singapore) sarebbe saltato, e poi ha fatto uscire dichiarazioni in merito al fatto che “dopotutto” il meeting si potrebbe ancora fare.

Un precipitarsi della situazione che ha indotto Seul a organizzare un incontro non previsto con Kim: il presidente sudcoreano e il cugino del Nord si sono visti sabato, nelle postazioni diplomatiche lungo la fascia demilitarizzata al confine tra le due Coree, per capire come andare sui contatti Pyongyang-Washington.

Il faccia a faccia Kim/Trump era considerato il principale dei passi avanti verso l’apertura di un dialogo costruttivo sull’enorme tema della denuclearizzazione del Nord, che però è letta differentemente da Pyongyang e da Washington: i primi si sentono una potenza nucleare e sono disposti a cedere soltanto in cambio di contro-cessioni, e soltanto in modo graduale, e se anche il Sud alleggerirà la presenza statunitense sul proprio territorio; gli americani chiedono uno smantellamento immediato del comparto nucleare del Nord e non sono per niente d’accordo su un ritiro dalla posizione strategica sudcoreana.

Le ricostruzioni dicono che Trump abbia cambiato idea sull’incontro con Kim dopo aver ricevuto alla Casa Bianca il presidente sudcoreano Moon Jae-in, motore diplomatico della via negoziale presa dalla crisi, descritto in questi giorni come spiazzato dalla retromarcia trumpiane, tanto da cercare una mediazione diretta con il vertice a sorpresa conKim.

Sarebbe stato il sudcoreano, dicono le indiscrezioni, a chiarire a Trump personalmente i paletti posti dal Nord. Che però, in realtà, erano già chiari: la cinese Xinhua, per esempio, li aveva messi nero su bianco dopo l’incontro tra Kim e il presidente Xi Jinping a Dalian dell’8 maggio.

L’agenzia stampa statale cinese scriveva: “Kim ha espresso l’auspicio che la Corea del Nord e gli Stati Uniti instaurino una fiducia reciproca attraverso il dialogo e le parti interessate adottino provvedimenti graduali e sincroni in modo responsabile per far avanzare in modo completo la soluzione politica della questione della penisola coreana e raggiungere infine la denuclearizzazione e una pace duratura sulla penisola”.

L’amministrazione Trump ha anche lasciato intendere che la decisione della Casa Bianca di ritirarsi dall’incontro con Kim è legata a un cambio di atteggiamento del leader nordcoreano, su cui non sono da escludere pressioni cinesi: insomma, gli incontri con Xi hanno fatto “deragliare” il vertice?

Secondo l’esperto Bill Bishop no, anzi. L’analista scrive nella sua newsletter settimanale “Sinocism”, che Pechino è invece fortemente interessata al meeting per una seri di ragioni. Primo, la Cina non è d’accordo con le severe sanzioni Onu imposte alla Corea del Nord, ha dovuto accettarle, ma ritiene che il bilaterale Trump-Kim possa sollevarle e dunque per questo lo ritiene cosa buona (c’è un interesse economico nazionale dietro, dato che il Nord è un ottimo cliente cinese).

Secondo: se gli Stati Uniti dovessero tornare sulla linea della “massima pressione”, allora la Cina potrebbe finirci in mezzo. Per Trump la questione nordcoreana è un affare che dovrebbe essere risolto da Pechino, visto che il presidente americano ritiene che il Nord sia completamente dipendente dalla Cina (non è del tutto sbagliato, sebbene Kim abbia dimostrato di muoversi anche in via indipendente ed estemporanea).

Terzo: far saltare il vertice, far tornare la linea durissima con Pyongyang, rialzare le pressioni sulla Cina, potrebbero comportare un peggioramento dei rapporti tra Washington e Pechino. Il confronto tra i due paesi è serrato, trova aperture sul dossier economico (pare che abbiano raggiunto un accordo sulla vicenda della Zte), ma scontri su altri ambiti – per esempio, pochi giorni fa il Pentagono ha ritirato un invito alla Cina, che avrebbe dovuto partecipare a esercitazioni congiunte con la US Navy, per via della militarizzazione spinta nel Mar Cinese Meridionale.

Bishop indica alcuni punti che potrebbero diventare critici tra Cina e Stati Uniti se il dossier nordcoreano tornasse a infuocarsi e Trump vedesse delle responsabilità di Pechino dietro la situazione: “Demolizione di molte delle concessioni sulle tariffe; rinnovate minacce di sanzioni statunitensi contro banche cinesi e compagnie petrolifere statali se la campagna di massima pressione contro la Corea del Nord non viene mantenuta; sforzi più solidi degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale per respingere l’espansione della Cina; una visita a Taiwan del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton“.

 

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