Anche i tedeschi, i duri e puri tedeschi molto preoccupati per l’evoluzione politica in Italia, vista come una minaccia alla dottrina del rigore, hanno i loro guai. Guai grossi, visto che si parla della prima banca germanica, Deutsche Bank. Molto più, volendo paragonare per un attimo l’Italia, della nostra Monte dei Paschi, salvata dallo Stato tre anni fa a mezzo nazionalizzazione.
E così, anche per il maggior istituto tedesco, che a tutti gli effetti rappresenta un pezzo di pil in Germania, ma anche un’immensa grana finanziaria per Angela Merkel, la grande ritirata è iniziata. Deutsche Bank ha da poco annunciato di voler tagliare fino a 7mila posti di lavoro in tutto il mondo, portando i suoi dipendenti dagli attuali 97mila a meno di 90mila. Un taglio consistente, che interesserà tutte le attività e che è la cartina di tornasole di una situazione molto difficile per la più importante banca tedesca.
Una ristrutturazione che non è certo frutto del caso. Parlare di congiuntura sfavorevole sarebbe in fin dei conti riduttivo. Il taglio del personale si è infatti reso di fatto obbligato per ridurre i costi dell’istituto (con l’obiettivo di tenerli sotto i 23 miliardi nel 2018) e per ripristinare la redditività. Alcuni indicatori spiegano bene lo stato di salute precario di Deutsche Bank. Da gennaio le azioni hanno perso circa il 32% del loro valore. Nel 2017 la banca ha registrato una perdita netta di 512 milioni: un rosso superiore alle previsioni degli analisti, che avevano fissato l’asticella a 290 milioni. E ieri il titolo ha chiuso alla Borsa di Francoforte a 10,8 euro: un anno fa ne valeva quasi 17.