Se c’è una certezza di queste settimane surreali è la granitica abilità mostrata da Matteo Salvini in tutti i passaggi delicati.
Ha saputo mantenere un contatto con il Cavaliere pur facendolo incazzare e disperare come forse solo Veronica ha saputo fare, ha duellato con il Quirinale senza mai varcare il limite del rispetto istituzionale e ha gestito la trattativa con il M5S battendo 6-0 6-0 Di Maio a ripetizione, con fasi di gioco identiche a quelle di un immaginario match tra Federer e un pensionato Uil che gioca a tennis 3 volte l’anno.
Però anche Salvini non può tirare troppo la corda, perché ad un certo punto rischia di passare dalla parte del torto, perché è un attimo passare da leader scaltro e reattivo a macinatore inconcludente di parole, perché un conto è dire di “no” con motivazioni comprensibili e ben altra cosa è impuntarsi sul ruolo da assegnare al pur esimio prof. Savona.
La verità è che anche Salvini si è ormai spinto molto avanti nella trattativa con i grillini (che sono una pentola sul punto di esplodere, con ormai contestazione aperta al giovane leader campano), lasciando quel che resta dell’Italia del lavoro, delle professioni e dell’impresa a bagno maria per troppe settimane.
È facile infatti raccogliere il forte disappunto che serpeggia soprattutto al nord, dove moltissimi imprenditori vedono rallentare il loro business a causa di una perdurante incertezza che rinvia molte decisioni e spaventa le multinazionali, ormai spesso preda di protocolli interni che prevedono il “fermo macchine” in caso di condizioni ambientali sfavorevoli (tipicamente misurate sugli equilibri politici ed istituzionali).
Ecco perché Giorgetti, che di quei mondi è interprete più di Salvini stesso, preme da molte ore per una soluzione “governativa”, pur senza venire meno alla lealtà verso il capo. Ed ecco perché anche le più importanti organizzazioni di categoria, da Confindustria a Confcommercio, da Confesercenti e Confartigianato stanno trasmettendo messaggi di esplicita approvazione alla nascita del governo gialloverde, non tanto per adesione politica quanto per volontà di porre fine alla lunga fase di galleggiamento.
Salvini è dunque ad un bivio ostico e per certi versi sgradevole.
Dopo molti errori e perdurante fragilità nell’analisi della situazione il Quirinale è tornato (finalmente) in posizione di forza, poiché ha lasciato capire che Savona può essere ministro, purché con delega diversa da quella originariamente prevista.
Di Maio è ancora in sella, pur frastornato, incupito e con le batterie scariche: se il governo nasce è comunque una sua vittoria o, quantomeno, ne ricava qualche energia in più per affrontare il “processo” cui sarà sottoposto da suoi compagni cittadini del movimento (guidati da Grillo e Di Battista).
Adesso è Salvini con il cerino in mano, con tutta l’Italia che lo osserva.
In cuor suo vorrebbe (probabilmente) gettarsi in una campagna elettorale, ma sa benissimo che non può farlo con l’etichetta di “Mister No”. O s’inventa qualcosa (siamo proprio sicuri che c’è solo Conte come premier possibile?) o gli tocca dire di sì a Mattarella e Di Maio.
Tertium non datur.