Per essere una svolta lo è, ma nemmeno a incognite si scherza. Sull’Ilva l’Europa ha detto sì ai franco-indiani di Arcelor Mittal, ma non certo gratis e senza condizioni. Sul tavolo ci sono una serie di paletti che il primo produttore mondiale di laminati dovrà necessariamente rispettare. Non è tutto. C’è per esempio una trattativa sindacale da riavviare, alla luce dei contenuti del contratto, riportati dal Secolo XIX, siglato lo scorso giugno in occasione dell’aggiudicazione della gara da parte di Am Investco, controllata all’85% da Arcelor.
Partendo dal verdetto arrivato questa mattina da Bruxelles, la commissione europea ha annunciato di aver approvato in maniera condizionata l’acquisizione dell’Ilva da parte di Arcelor Mittal. Un sì tuttavia subordinato alla realizzazione di un ampio pacchetto di misure correttive, sotto forma di cessioni, che permetterà di mantenere una concorrenza effettiva sui mercati siderurgici europei, a vantaggio dei consumatori e delle imprese. In Europa infatti la soglia della concorrenza per far scattare il blocco dell’Antitrust è al 40% e per non sforarla il gruppo dell’acciaio dovrà necessariamente rispettere alcuni asset, così da abbassare la produzione nel Vecchio Continente.
“L’acciaio è un fattore produttivo indispensabile per molte industrie europee e per molti prodotti che utilizziamo ogni giorno. La decisione odierna – ha commentato Margrethe Vestager, commissaria responsabile per la concorrenza – garantisce che l’acquisizione di Ilva da parte di Mittal, che andrà a creare il produttore d’acciaio di gran lunga più grande d’Europa, non si traduca in un aumento dei prezzi dell’acciaio, a danno delle industrie europee, dei milioni di persone che vi lavorano e dei consumatori”.
Secondo l’eurocommissaria, proprio per rimanere al di sotto della soglia del 40% “Arcelor ha proposto di vendere un certo numero di impianti siderurgici situati in Europa. Ciò garantirà il mantenimento di una concorrenza effettiva sui mercati siderurgici europei. Tale decisione è in sintonia con l’azione risoluta dell’Ue volta a proteggere la nostra industria siderurgica dalle sleali distorsioni commerciali operate dai paesi terzi”.
Fin qui gli impegni “europei” di Arcelor su Taranto. Ma l’Ilva è cosa molto più complessa, soprattutto se si parla di posti di lavoro. E qui entrano direttamente in gioco i termini dell’intesa siglata a metà dello scorso anno con i commissari che hanno preso in carico il destino dell’acciaieria dopo l’addio dei Riva. Il contratto tra Mittal e i commissari nominati dal ministero dello Sviluppo è incentrato sul trattamento della forza lavoro per i prossimi anni e ha suscitato già le ire di parecchi sindacati.
Tutto ruota intorno alle assunzioni. Vero che ci saranno diecimila persone assunte, ma solo per la durata del piano industriale messo a punto da Mittal e in scadenza nel 2024. Poi le assunzioni effettive, una volta rientrata a regime la produzione e completato il risanamento, saranno 8.500, dunque dei tagli ci saranno. In altre parole, gli indiani all’Ilva non possono licenziare, ma possono incentivare l’esodo e avvalersi degli ammortizzatori sociali.
Alla voce “dipendenti”, nell’accordo si legge che Mittal è obbligata a impiegare un numero complessivo di lavoratori pari ad almeno 10 mila unità, ma viene anche confermato che quel livello è garantito solo per la durata del piano industriale, vale a dire per i prossimi sei anni, dopodiché l’organico previsto a regime è di 8500 unità. Il contratto prevede inoltre che il gruppo franco-indiano si impegni a formulare una proposta di assunzione a ciascuno dei dipendenti “con esclusione di qualsivoglia continuità rispetto al rapporto di lavoro intrattenuto” con la vecchia Ilva.
Per quanto riguarda i siti produttivi, il contratto prevede che gli stabilimenti di Taranto, Genova e Novi Ligure e Ilvaform, Taranto Energia e Ilva Servizi Marittimi vengano ceduti dapprima in affitto: 180 milioni di euro il canone annuo, che dovrà essere scalato dal prezzo di acquisto complessivo, ovvero 1,8 miliardi (l’intesa Mittal-Ilva è strutturata in modalità affitto con conseguente acquisto degli impianti).
Ci sono però altre due incognite. La prima riguarda il ricorso contro il decreto del governo per l’allungamento dei tempi per il risanamento ambientale, intentato dalla regione Puglia guidata da Michele Emiliano. A decidere sarà il Tar del Lazio ma il fatto è che l’intero accordo per l’Ilva è subordinato alla risoluzione delle pendenze giudiziarie.
L’altro punto interrogativo è trovare l’accordo conclusivo con i sindacati, che non hanno digerito certo bene le indiscrezioni trapelate circa il contratto di cessione dell’Ilva. In molti tra i lavoratori hanno parlato di trattativa finta e per questo si è registrato un irrigidimento del clima. Lo sa molto bene anche il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che in un tweet ha indicato chiaramente dell’accordo sindacale l’ultimo tassello nel salvataggio dell’Ilva. “Ora manca solo l’accordo sindacale e poi finalmente, dopo anni di crisi e problemi, Ilva potrà diventare un’acciaieria competitiva e all`avanguardia nella protezione dell’ambiente e delle persone. Non perdiamo questa occasione per Taranto e per l’Italia”.