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Il “ritorno” di Mircea Eliade nella crisi spirituale dell’Occidente

“Ritorna” Mircea Eliade. A dire la verità, non se n’era mai andato. Nel senso che il grande storico delle religioni (il “più grande” del Novecento secondo molti), scomparso a Chicago nel 1986 all’età di 79 anni, è stato sempre una presenza discreta, non sempre relegata nelle cerchie degli studiosi, in Europa e al di là dell’Atlantico dove le sue opere sono sempre state tradotte e riproposte con continuità. Il “ritorno” in Italia, negli ultimi anni, è dovuto alla curiosa circostanza della quasi simultanea ripubblicazione di molti suoi libri (saggi, racconti, romanzi e perfino una biografia) che ne hanno rilanciato l’interesse proiettandolo al di fuori dei consueti circuiti votati all’indagine sul sacro e sulla tradizione.

Alessandro Mariotti, Mircea Eliade (Castelvecchi, pp.185, € 20,00)

Fummo facili profeti, scrivendo dopo la sua morte che Eliade, uno degli epigoni più significativi della “cultura della restaurazione”, insieme con Georges Dumèzil ed Ernst Jünger, avrebbe continuato a conquistare estimatori e sarebbe stato, nonostante il passare del tempo, un sicuro punto di riferimento per gli studi sulla nascita e lo sviluppo dello spirito religioso tra i popoli. Ciò che sta accadendo lo prova ampiamente. Ed in particolare in Italia la biografia che gli ha dedicato Alessandro Mariotti, Mircea Eliade (Castelvecchi, pp.185, € 20,00) ha riportato all’attenzione non soltanto la figura dell’intellettuale, dell’indagatore, dello spiritualista, ma anche la sua vita covulsa a tratti, intensa, non priva di fascino e di interesse anche per i risvolti politici soprattutto in giovane età. I suoi legami con i movimenti di destra rumeni negli anni Trenta, ed in particolare con la Guardia di ferro di Corneliu Zelea Codreanu, al pari di altri intellettuali rumeni di prima grandezza, vengono approfonditi dal suo biografo che, tuttavia, non segue talune mode negandogli le ragioni della sua adesione a quegli orientamenti politici che poi sarebbero stati tutt’uno con la sua visione del mondo, mistica e pragmatica al un tempo. Il che non gli impedì di intraprendere la carriera universitaria, mentre frequentava l’ideologo maggiore della destra rumena, Nae Ionescu.

Celebrato da Julius Evola, amato e pubblicato da Cesare Pavese, amico di Jünger con il quale pubblicherà negli anni Sessanta la rivista “Antaios”, guardato con grande simpatia perfino dalla beat generation, Eliade, come documenta Mariotti, non soltanto è stato un maestro di spiritualità, ma ha avuto una centralità culturale del dopoguerra legandosi in amicizia con intellettuali del livello di Ortega y Gasset, Dumèzil, Carl Schmitt, e coltivando relazioni intense, non solo con personaggi quali Codreanu, ma anche con Ionesco e Cioran. Dunque, la sua biografia risulta un’avventura dell’intelligenza e dello spirito che Mariotti con la sua appassionata ricerca propone quale strada per comprenderlo nelle molte sfaccettature che presenta.

Eliade nascere a Bucarest nel 1907 da una famiglia borghese impregnata di ideali nazionali. Entrò giovanissimo in contatto con ambienti conservatori che avrebbero poi indirizzato la sua formazione. Nel 1927 si stabilì a Roma, dove soggiornò due anni apprendendo la lingua italiana e lavorando intorno alle origini della civiltà latina: ebbe anche l’opportunità di seguire i corsi universitari di Giovanni Gentile i cui allievi misero in contatto con gli ambienti fascisti.

Psicologia della meditazione indiana

Intentando approfondire sul misticismo indiano – forse influenzato dalle suggestioni indoeuropee che lo legavano alle radici dell’Europa – si trasferì a Calcutta dove rimase fino al 1932, anno in cui rientrò a Bucarest per intraprendere la carriera universitaria conseguendo il dottorato in Lettere. Di questo periodo sono gli “studi indiani” tra i quali resta fondamentale Psicologia della meditazione indiana, tesi del suo dottorato, appena ripubblicato dalle Edizioni Mediterranee (pp.186, € 17,00) arricchita dalla introduzione di Horia Corneliu Cicortas sul “Giovane Eliade e lo yoga”. Si tratta di un libro specialistico, ma dalla lettura piacevolmente scorrevole attraverso la quale si entra in contatto con il fascinoso mondo ascetico e mistico indiano e con le filosofie da esso derivate. Cicortas non manca di ricordare i legami italiani di Eliade, in particolare con Papini, Pettazzoni e soprattutto Giuseppe Tucci il più grande orientalista (non sempre adeguatamente ricordato) che il nostro Paese abbia avuto. La Psicologia è il primo lavoro scientifico di ampio respiro di Eliade, frutto delle ricerche compiute sotto la guida di S. Dasgupta universalmente ritenuto il maestro delle discipline inerenti la meditazione orientale.

 

Dayan e altri racconti

A Bucarest insegnò metafisica fino al 1939: in sette anni apparvero le sue prime pubblicazioni sulle religioni comparate e promettenti opere di narrativa. Queste ultime avrebbero preso una strada autonoma da tutti gli altri lavori di Eliade che si cimentò nella scrittura di molti romanzi di successo che sarebbe oltremodo lungo enumerare. Tuttavia non possiamo esimerci dal citare un libro della tarda maturità, recentemente pubblicato da Bietti, Dayan e altri racconti (pp. 194, € 16,00), curato anche questo da Horia Corneliu Cicortas, nel quale colpi sorprendenti nell’Europa della cortina di ferro, lo rendono avvincente come mai ci si aspetterebbe da uno studioso delle religioni. Eliade descrive, minuziosamente, con sapienza quasi derivata da esperienze dirette, un universo ai confini della realtà nel quale intrighi di spie, congiure degne di giallista di vaglia, complotti ai confini della realtà tengono desta la curiosità del lettore che si appassiona non solo alle vicende che s’intrecciano, ma anche alle sfumature magiche che consacrano Eliade anche come uno dei più singolari scrittori del secolo scorso. Non diversamente dall’autore di testi teatrali (anche questo ha fatto!) ora riproposti sempre da Bietti e sempre con la cura meticolosa di Cicortas nell’impegnativo volume Tutto il teatro. 1939-1970 (pp.456, € 26,00), i cui testi sono stati direttamente tradotti dal rumeno. L’interesse di Eliade per il teatro viene dall’adolescenza, ci informa Cicortas; un interesse che non avrebbe mai trascurato in filando testi pregevoli tra gli studi scientifici ed i romanzi. La silloge che viene proposta, rivela un autore la cui singolare efficacia rappresentativa, onirica e visionaria, è la prova ulteriore del suo spirito versatile, “aperto verso tutte le culture e le forme di espressività umana”, come annota il curatore.

Lo studio, la letteratura, il teatro non furono tutto per Eliade; diciamo che non gli bastavano. Era geniale ed onnivoro; curioso e sagace nell’individuazione del movimenti che avrebbe cambiato la storia. La politica non poteva sfuggirgli e non soltanto in ossequio alla sua formazione giovanile avvenuta in famiglia e proseguita con l’incontro dei movimenti animati da Ionescu, oltre che dalla figura mitica di Codreanu. Tale passione lo portò a poco più di trent’anni ad assumere l’incarico di addetto culturale dell’ambasciata di Romania a Londra. Dalla capitale britannica il “salto” a Lisbona nel 1941, rimanendovi fino al 1944, fu quasi naturale. Qui entrò in “sintonia” con il regime di Antonio Oliveira Salazar dove da quasi un decennio il mite professore guidava con autorità il Portogallo tenendolo al riparo dagli sconvolgimenti europei. La sua “rivoluzione spirituale” venne studiata da vicino da Eliade che era addetto stampa presso la Legazione di Romania. E lui la giudicava idonea a reintegrare il Paese nella propria tradizione tenendolo al riparo dalla “sovversione” dilagante in buona parte del mondo.

Salazar e la rivoluzione in Portogallo

 

La controrivoluzione salazariana era volta a preservare l’anima lusitana dalla disgregazione attraverso un vasto piano di riforme che tutelava le classi medie ed elevava dallo stato di indigenza quelle meno abbienti attraverso la politica dello “Estado Novo” fondamentalmente di impronta corporativa e proiettato nella restaurazione dei corpi intermedi. La riflessione sulla “questione portoghese” Eliade la racchiuse in un libro che apparso di recente, ancora per le edizioni Bietti, getta nuova luce su Salazar e sua politica così mal conosciuta e tanto demonizzata in Europa. Salazar e la rivoluzione in Portogallo (pp.314, € 24,00) è un libro imprescindibile per capire che cosa accadde da quelle parti tra le due guerre, “nato da un dubbio e ha visto la luce per rispondere a una domanda che l’autore non si stanca di porsi da ormai dieci anni: è possibile una rivoluzione spirituale?”. Eliade concludeva positivamente.

 

 

Dopo la guerra, soprattutto i romanzi cominciavano ad avere un successo insperato. Tornato a Bucarest, fondò e diresse la rivista di studi religiosi “Zalmoxis”, cui avrebbe fatto seguito, nel 1959, come ricordato l’esperienza di “Antàios” con Jünger. Quindi si stabilì a Parigi dove fu presidente del Centro romeno di ricerche, insegnò storia delle religioni all’Ecole des Hautes erudirsi della Sorbona. Poi si trasferì a Chicago dove rimase fino alla morte scrivendo ed insegnando, ma con incursioni in Europa ed in particolare in Italia dove contava molti amici e nel 1970 accettò di far parte del Comitato di direzione della rivista “La Destra” diretta da Claudio Quarantotto.

Al di là dei molti interessi coltivati, Eliade resta importantissimo come studioso del Mito. Ad esso si dedica come rivelazione del sacro e valore archetipo in quanto il Mito rappresenta, a suo giudizio, il modello e l’esempio “di tutte le azioni umane e di tutta la realtà”. Inoltre teorizzò la conoscenza religiosa come conoscenza dell’uomo. E a tale interpretazione metodologica e interpretativa si tenne sempre fedele. Insomma, egli pensava che la storia delle religioni era chiamata ad avere un ruolo assai importante anche nel tempo della secolarizzazione. E ciò non soltanto perché “la comprensione delle religioni esotiche e arcaiche – come sottolineava nel saggio La nostalgie des origines – recherà un aiuto significativo ai dialoghi con i rappresentanti di tali religioni, ma anche e soprattutto perché, sforzandosi di comprendere le situazioni esistenziali espresse dai documenti che studia, lo storico delle religioni accederà inevitabilmente ad una più profonda conoscenza dell’uomo. Proprio sulla base di una tale conoscenza si potrà sviluppare un nuovo umanesimo, su scala mondiale”.

E quello che Mircea Eliade ha cercato di fare. Il semplice fatto che “ritorna” nel tempo della crisi spirituale e culturale dell’Occidente è segno che ha colto per tempo i prodromi della decadenza alla quale si può reagire soltanto spiritualmente.


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