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L’importanza di chiamarsi oro. E di avercelo

Il Fintech, ha detto pochi giorni fa il vicedirettore generale di Bankitalia Fabio Panetta, rischia di spazzare via un giorno, una buona fetta di sistema bancario. Come a dire che la tecnologia, presto o tardi, vince sempre. Ma allora che senso può avere oggi parlare di oro? Bene rifugio per eccellenza, simbolo di ricchezza da un paio di milioni di anni.

Il senso c’è, eccome. Perché sennò non si spiegherebbe che cosa abbia spinto un economista come Salvatore Rossi, dg di Via Nazionale e presidente Ivass, a scriverci un libro intitolato semplicemente Oro (il Mulino) e presentato ieri sera a Roma, alla casa di Ripetta (dopo una prima presentazione, due mesi fa alla Luiss), in compagnia della giornalista Isabella Bufacchi e del professore, già senatore dem, Paolo Guerrieri Paleotti.

Tutto parte da una grande verità. E cioè che da sempre è simbolo di ricchezza, bellezza, divinità, potere. Ma anche di risparmio e di scambio. Chi lo possiede lo conserva stipato in scrigni, casseforti, forzieri e caveaux. Perché? L’oro è un mistero che resiste da seimila anni, da quell’età dell’uomo che porta il suo nome, l’età dell’oro. Eppure, è il messaggio di fondo dell’opera, oggi, nell’era del denaro di carta e in quella che si annuncia del denaro virtuale, l’oro dovrebbe apparirci anacronistico e dimenticato, al tramonto della sua funzione.

“Io ho scritto questo libro perché l’oro è fondamentalmente un concetto economico, lo è e lo sarà. Io ho voluto in un certo senso rispondere a questa domanda. Perché la gente per migliaia di anni ha creduto nell’oro? Nessun metallo ha avuto una storia così importante. A tratti divinizzato, altre volte demonizzato”, ha spiegato Rossi.

In effetti, a leggere le statistiche, lungi dall’essere un’anticaglia di famiglia simbolo di vecchie ricchezze tramandate per eredità, l’oro resta il bene-rifugio per eccellenza, perno delle economie e dei sistemi monetari. “Sono partito dalle riserve auree di Bankitalia, in particolare dalla sottrazione da parte dei tedeschi durante la guerra, per raccontare una storia dell’oro e del suo ruolo nell’umanità”.

Secondo Guerrieri, il metallo giallo ha rappresentato nei secoli passati sempre una forma di garanzia. Un po’ come accadde, ha ricordato l’economista, nel 1974 quando l’Italia, a un passo dal default, chiese alla Germania un prestito da 5 miliardi, dando in pegno ai tedeschi proprio una quota dell’oro custodito in Bankitalia. In realtà, ha precisato Guerrieri, l’oro non si mosse mai dall’Italia, che sottoscrisse con Berlino solo una lettera di garanzia. Ma l’oro, anche in quel caso, si ritagliò un ruolo di primo piano.

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