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Resto qui, la storia di una caparbia resistenza al Ventennio fascista

Sin dal titolo semplice e perentorio il nuovo romanzo di Marco Balzano è fortemente asseverativo ed esclude tutte le alternative che aveva intanto proposto ai suoi personaggi: Resto qui, nella convinzione che il luogo, il paese e il paesaggio abbiano un ruolo identitario come nient’altro, la lingua o la politica, la scuola o lo sviluppo.

Resto qui è, dunque, una scelta e un progetto, un punto di partenza e di arrivo al quale non si può rinunciare e che viene continuamente rimesso in discussione dagli eventi: dall’Italia che si impone come patria alla fine della Prima guerra mondiale, dalla Germania imperialista e nazista che vorrebbe imporre la sua lingua e i suoi valori, dall’Europa antifascista troppo astratta nei suoi ideali democratici.

Analoga è la storia degli uomini delle montagne, della val Venosta in questo caso, dove vive con tenace fedeltà ai valori della tradizione una coppia di lingua tedesca – Erich e Trina – con due bambini la cui serenità sarà presto drammaticamente turbata dalla violenza che li circonda, che si arrampica su per i monti fino a raggiungerli e a travolgerli.

Padre e madre vivono misurando con parsimonia le parole, invece, quando raggiungeranno Curon gli zii tedeschi per sedurre la nipotina e portarla con loro nella grande Germania, la ragazza viene facilmente convinta e abbandona la famiglia d’origine per seguire la nuova nel suo mondo di forza e di gloria; non si farà più viva, inghiottita nell’inferno di un presente senza riscatto. Diversa, ma analoga, sarà la sorte del figlio, che la scuola arruolerà tra i fanatici del nazismo educandolo alla sopraffazione e alla violenza; per lui non ci sarà bisogno neppure della fuga, basterà l’ubbidienza. Derubati del loro futuro, ai due montanari non resterà che chiudersi in se stessi a coltivare un lutto che prima che fisico è drammaticamente morale.

La scelta di chi resta è di rifiutarsi alla guerra, di opporsi al destino che si ripete: se la Prima non era stata “la guerra per eliminare le guerre” lo sarà la Seconda e, quando Erich viene riportato a casa ferito a una gamba e costretto ad appoggiarsi alle stampelle per camminare, alla moglie dice “Non è vero che tornerò a combattere, Trina, non combatterò mai più. Se mi verranno ancora a cercare scapperò sulle montagne… né con gli italiani né con i tedeschi. Io non voglio più fare la guerra”. Certo, dopo la guerra torna anche “la voglia di rinascere”, ma più degli affetti contano le idee e chi non lo ha capito è di nuovo l’avversario di sempre, pronto a ricominciare da capo: invece, “era difficile da accettare, ma tutto era alle spalle. Dovevo solo non pensarci più”.

Al paese, mentre i reduci tornano dai fronti lontani, riacquistano interesse e vigore gli antichi progetti di un progresso pronto a sacrificare i luoghi pur di raggiungere il benessere. Ancora una volta, l’antico dilemma restare o partire si ripresenta: costruendo una diga a chiudere la valle si riempie un invaso di acqua fiumana e il paese sommerso verrà svuotato degli abitanti; bastano un paio d’anni perché lo scempio si compia e a ricordare quel che c’era e non è restato, in mezzo al lago, svetta isolato un campanile.

Resto Qui

Marco Balzano
Resto qui
Einaudi
pp. 184, € 18

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