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Così i Big Data stanno cambiando la società italiana. L’indagine delle Autorità garanti

Tre prospettive diverse e complementari per approfondire i cambiamenti derivanti dai Big Data sugli utenti che forniscono i dati, sulle imprese che li utilizzano e, dunque, sui mercati, e identificare gli strumenti più appropriati per eventuali interventi.

Sono queste le linee guida seguite da un’indagine conoscitiva avviata lo scorso anno in sinergia da Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Dopo questo lasso di tempo, oggi sono stati presentati a Roma i primi risultati di questo report, nato dalle testimonianze date in audizione da alcuni dei protagonisti dell’economia digitale, i cosiddetti Over The Top (Ott), imprese operanti in alcuni settori fortemente interessati dal fenomeno dei Big Data (ad esempio, imprese editoriali, aziende di credit scoring, gruppi bancari e compagnie di assicurazione), esperti e studiosi.

GLI UTENTI COME FORNITORI DI DATI

Dallo studio dell’Antitrust emerge che il rapporto che si instaura tra gli utenti che forniscono dati personali e le imprese che forniscono i servizi digitali assume sempre più centralità nel funzionamento dei mercati. In questo contesto, l’indagine è stata condotta su un campione di utenti di servizi online e affronta tre questioni: il grado di consapevolezza degli utenti delle piattaforme digitali in relazione alla cessione e all’utilizzo dei propri dati individuali; la disponibilità degli utenti a cedere i propri dati personali come forma di pagamento dei servizi online; e la portabilità dei dati da una piattaforma all’altra.

LA CONSAPEVOLEZZA DEGLI INTERNAUTI

L’indagine svolta mostra che circa 6 utenti su 10 sono consapevoli del fatto che le loro azioni online generano dati che possono essere utilizzati per analizzare e prevedere i loro comportamenti, e appaiono anche informati dell’elevato grado di pervasività che il meccanismo di raccolta dei dati può raggiungere (ad esempio, sulla geo-localizzazione e sull’accesso di diverse app a funzionalità come la rubrica, il microfono e la videocamera) nonché delle possibilità di sfruttamento dei dati da parte delle imprese che li raccolgono.

GLI SPAZI DI MIGLIORAMENTO

Esistono tuttavia, secondo i dati raccolti, spazi di miglioramento per accrescere la consapevolezza degli utenti, infatti la maggioranza degli utenti legge solo in parte le informative (54%) o non le legge affatto (33%), gran parte degli utenti dedica un tempo limitato alla loro lettura, e un’ampia maggioranza del campione considera che le informazioni fornite possono risultare poco chiare.

Anche utenti che non sono del tutto consapevoli della stretta relazione esistente tra cessione dei dati e gratuità del servizio, non di rado acconsentono all’acquisizione, utilizzazione e cessione dei propri dati personali. Gli utenti che invece negano il consenso lo fanno soprattutto in ragione dei timori di un improprio utilizzo dei propri dati: le preoccupazioni riguardano sia l’utilizzo a fini pubblicitari (46,7%) sia, ancor di più, l’utilizzo per altre finalità (50,2%).

CONSENSO E GRATUITÀ

Nel complesso, in ogni caso, 4 utenti su 10 sono consapevoli della stretta relazione esistente tra la concessione del consenso e la gratuità del servizio. Oltre 3/4 degli utenti intervistati, tuttavia, dichiara che sarebbe disposta a rinunciare ai servizi e alle app gratuite per evitare che i propri dati siano acquisiti, elaborati ed eventualmente ceduti. A fronte di ciò, comunque, solo la metà degli utenti dichiara che sarebbe disposto a pagare per servizi/app oggi forniti gratuitamente al fine di evitare lo sfruttamento dei propri dati (pubblicitario o di altro tipo).

DIRITTI DA CONOSCERE

Infine, dall’indagine si apprende che attualmente solo 1 utente su 10 è consapevole dei propri diritti in materia di portabilità dei dati, anche se circa la metà degli utenti mostra interesse ad ottenere una copia dei propri dati. Lo scarso interesse all’utilizzo della portabilità è dovuto alla poca propensione ad utilizzare altre piattaforme/applicazioni (41,1%), ad una limitata sensibilità sulla rilevanza di tali dati (36,1%) nonché alla percezione di un’elevata complessità degli strumenti tecnologici (30,4%).

DATI E FINI COMMERCIALI

All’approfondimento del ruolo degli utenti come fornitori di dati, segue l’analisi dell’utilizzo di tale risorsa sia da parte delle imprese attive nei mercati data-driven nel settore digitale sia da parte di imprese che operano in settori tradizionali. Anche quest’ultime, infatti, fronteggiano le opportunità e le sfide derivanti dalla disponibilità di un insieme sempre più ampio e dinamico di dati. In particolare, è stata approfondita l’evoluzione in corso nel settore bancario e in quello assicurativo, entrambi storicamente caratterizzati da un utilizzo intenso dei dati.

I Big Data rappresentano per le imprese bancarie e assicurative un’importante opportunità per accrescere la conoscenza della clientela, arricchendo la comprensione delle preferenze e delle abitudini dei consumatori, in particolare con una più efficace individuazione del profilo di rischio del singolo cliente, al fine di sviluppare prodotti e servizi personalizzati, favorendo al contempo l’innovazione, l’inclusione finanziaria e una maggiore concorrenza. Inoltre, ulteriori benefici possono scaturire dall’ottimizzazione dei processi interni, con ricadute positive in termini di efficienza e riduzione dei costi, e nella lotta alle frodi.

NON MANCANO LE CRITICITÀ

Accanto agli indubbi benefici si devono rilevare alcune possibili criticità, tra cui gli effetti potenzialmente discriminatori della profilazione e della valutazione del rischio dei singoli clienti, nonché problemi di cyber security, particolarmente delicati in virtù della natura delle informazioni di carattere finanziario, oltre che personale.
L’indagine sin qui svolta – rileva il report – mette in mostra due diverse risposte alle sfide poste dalla rivoluzione digitale e dai Big Data che sembrano convivere. In alcuni casi, la consapevolezza di un certo ritardo nello sfruttamento dei dati a disposizione spinge le imprese ad attrezzarsi per far fronte ai profondi cambiamenti del contesto competitivo, sollecitando, al contempo, i policy maker e le autorità di settore ad una particolare attenzione all’uniformità delle regole e delle condizioni del “campo da gioco” (level playing field). In altri casi, si rileva una ricerca di “protezione” da parte degli operatori già presenti sui mercati interessati, al fine di conseguire l’accesso ai dati a disposizione delle grandi piattaforme, raffigurate come potenziali concorrenti in grado di assumere rapidamente posizioni di rilievo, proprio in ragione della capacità di elaborazione dei Big Data di cui dispongono.

IL RUOLO DELLE PIATTAFORME DIGITALI

Il report realizzato dall’Agcom si sofferma invece sul ruolo delle piattaforme digitali, in particolare i social network, che sempre di più risultano svolgere un ruolo centrale nel settore dell’informazione. Per loro natura le piattaforme digitali rappresentano uno strumento prioritario nella raccolta, nella conservazione e nell’utilizzo dei dati; una parte
rilevante dei big data, infatti, è rappresentata dai dati che le piattaforme raccolgono dalle attività profilate che i singoli utenti svolgono in rete, compresi quelli relativi alle preferenze ideologiche e politiche e ai contenuti informativi letti, visualizzati, graditi, commentati e condivisi. I sistemi di personalizzazione automatica (che operano sulla base di algoritmi e dei big data acquisiti), da un lato, e le azioni di condivisione di contenuti informativi compiute dagli utenti, dall’altro, facilitano – in assenza di attivismo critico dell’utenza – la proliferazione di notizie false e la propagazione virale di contenuti polarizzanti, fenomeni
particolarmente rilevanti per informazioni relative alle scelte politiche, alimentari, sanitarie.

UNO SCAMBIO IMPLICITO

In particolare, tramite un’analisi econometrica (svolta in collaborazione con Università “La Sapienza” di Roma, Dipartimento di Ingegneria Informatica Automatica e Gestionale che ha elaborato il Dataset), su oltre un milione di app pari all’80% di quelle presenti sul ‘negozio virtuale’ Google Play si mostra da un lato come la domanda di download di App da parte degli utenti sia negativamente correlata, in modo statisticamente significativo, con il numero di permessi richiesti (in relazione all’accesso ai dati sensibili degli utenti); dall’altro come il prezzo delle app fissato sul mercato sia negativamente correlato, in modo statisticamente significativo, al numero di permessi richiesti (ovvero, l’effetto dei permessi sull’uso di dati sensibili, quando significativo, riduce sensibilmente la probabilità che un’app sia a pagamento).
Questo risultato della ricerca mostra, secondo gli autori, l’esistenza di uno ‘scambio implicito’ del dato tra utenti da un lato e sviluppatori app e piattaforma dell’altro, circostanza che incide sulle scelte del modello di business e, in particolare, sul dato come bene economico. La rilevanza delle app (intese sia come servizio-prodotto che come piattaforma se si considerano le prime dieci app più scaricate) nell’ecosistema digitale consente di attribuire a questo risultato una rilevanza generale della transazione digitale tipo ‘dati-informazione’. La ormai vasta letteratura empirica comportamentale ha inoltre dimostrato come il comportamento umano, specie in condizioni
di incertezza, non sia affatto razionale. Scelte, come quelle relative alla cessione dei propri dati, inoltre, vengono effettuate assai frequentemente di impulso e senza una valutazione delle reali conseguenze dello scambio implicito.

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