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Il ritorno della lingua araba in Israele

La posizione dell’arabo nella cultura israeliana è cambiata nei decenni, variando da lingua predominante, parallela e marginale nei diversi contesti culturali e storici. Il conflitto, i rapporti demografici, le tendenze culturali hanno influenzato il ruolo dell’arabo nella società israeliana. Oggi si assiste a un ritorno culturale dell’arabo, dovuto al maggiore interesse per la letteratura e la produzione musicale.
Fino agli anni ’50 in città come Haifa e Gerusalemme l’arabo era la lingua veicolare nei rapporti quotidiani tra le diverse comunità. Le storiche comunità ebraiche sefardite di Gerusalemme e Hebron usavano il giudeo-spagnolo (ladino) come lingua famigliare, l’arabo come lingua predominante e il francese come lingua di studio. Nell’era del Mandato Britannico, l’ebraico si rafforzava tra la popolazione ebraica quale lingua ufficiale nelle istituzioni rappresentative (lo yishuv), nelle scuole e nella nuova produzione letteraria. Ancora fino agli anni ’60 gli immigranti dall’Europa parlavano in casa yiddish, polacco, ungherese o tedesco. I tzabar (nativi della Terra di Israele) che vivevano in città miste come Haifa parlavano ebraico e arabo correntemente. Le comunità degli ebrei “orientali” (originari dei Paesi arabi e islamici) hanno anche progressivamente abbandonato i vari dialetti arabi (iracheno, yemenita, marocchino e libico), il curdo e l’aramaico come lingue famigliari in favore dell’ebraico anche come lingua domestica.
Pur con il consolidamento dell’ebraico quale lingua maggioritaria, l’arabo si è mantenuto come lingua ufficiale, lingua d’insegnamento nelle scuole arabe e lingua principale tra le minoranze arabe. L’obbligo di insegnamento dell’arabo nelle scuole israeliane non ha sortito grandi risultati nell’effettivo apprendimento della lingua, che per anni è rimasta tra la maggioranza ebraica oggetto di studio per chi avrebbe fatto carriera militare nell’intelligence o nel mondo accademico. Negli anni dell’intifada al-Aqsa, l’arabo era associato al terrorismo e in alcune città come Gerusalemme destava sospetto e timore.
Negli ultimi anni, la riscoperta della cultura degli ebrei orientali, il successo culturale di artisti arabi israeliani e il rinnovato interesse per la letteratura mediorientale hanno riportato l’arabo nel comune spazio culturale israeliano. Già negli anni ’60 la cantante israeliana di origine yemenita Shoshana Damari aveva avuto successo con alcune canzoni in arabo, come “marhabten”. L’icona della musica israeliana degli anni ’70 e ’80, Ofra Haza (anche di orgine yemenita) ha composto un intero album con canti tradizionali in arabo-yemenita, alcuni dei quali riconosciuti a livello internazionale. Nei decenni successivi la riscoperta dell’arabo passa principalmente per la produzione musicale.
E’ il caso della cantante Miri Mesika, di origine marocchina, che di recente ha rilasciato il solo “Zahra” (fiore), scritto dal musicista israeliano Gusto. Nel 2011 il cantante Dudu Tasa compone l’album “Dudu Tasa e i Kwaiti”, che riproduce con arrangiamenti moderni le canzoni di Daud e Saleh al-Kwaiyti, musicisti ebrei kwaitiani che hanno prodotto tra le musiche più famose del mondo arabo. L’arabo iracheno, dai suoni dolci, si adatta bene agli arrangiamenti che modernizzano le melodie tipicamente levantine. Una di queste canzoni, in versione rock, è stata poi scelta come sigla della famosa serie TV “Fauda”, che racconta le storie e le operazioni di un’unità di elite di mistarabim, soldati israeliani che si camuffano da arabi per operare in territorio nemico. Uno degli attori, Tzahi Halevy, ha pubblicato un single “Tamalli ma’ak” (sempre con te), cover del famoso cantante e compositore egiziano Amr Diab. Altro contributo importante è dato dai cantanti arabi-israeliani come Mira Awad e Nasreen Qadri, che si esibiscono in arabo e in ebraico, portando l’arabo al pubblico israeliano generale.
La letteratura ha un ruolo fondamentale. Una serie di opere di prosa e poesia araba sono state tradotte in ebraico, diffondendo l’interesse per la cultura araba contemporanea nella società israeliana. Alaa al-Aswani, scrittore egiziano, ha riscosso un grande successo tra i lettori israeliani così come il poeta e saggista Mahmud Darwish, attivista dell’OLP e feroce oppositore del sionismo e del nazionalismo cristiano-libanese. Altri autori arabo-palestinesi oppositori del sionismo, come  Khalil al-Sakakini, o attivisti palestinesi, come Ghassan Kanafani, sono tradotti e discussi nei media. Nel 2015 esce una raccolta in arabo ed ebraico dei canti e delle poesie della Primavera Araba, che gli attivisti israeliani hanno seguito con grande speranza in un cambiamento globale delle relazioni tra Israele e mondo arabo. Sei anni prima è stata pubblicata l’opera di traduzione delle canzoni del mito della musica araba Um Kulthum, la cantante egiziana che ha soggiornato anche a Giaffa e che assieme alla libanese Fairouz è considerata l’immortale voce della musica araba.
Oltre alla produzione musicale locale, vi è un crescente interesse per vari gruppi musicali arabi. E’ comune nella radio israeliana sentire canzoni del gruppo libanese “Mashrou’ Leila”, una band che rispecchia la multiconfessionalità del Paese dei cedri, la cui produzione musicale sintetizza tradizione e modernità rock, con testi di protesta e critica sociale e politica. Nelle strade delle città miste come Haifa, dove è comune l’incontro tra diversi gruppi culturali, rieccheggiano rock giordano, come Jadal e Akher Zapheer, la voce melodica di Yasmine Hamdan e alle volte le musiche leggere della band gerosolimitana Apo and the Apostles.
Il prisma politico attraverso cui si guarda la società israeliana spesso rischia di tralasciare i movimenti culturali che più profondamente connotano un gruppo sociale. Gli immigrati ebrei dai paesi arabi ascoltavano negli anni ’50 e ’60 Um Kulthum, infastidendo i loro figli il cui orecchio assorbiva altre melodie e altre lingue: oggi i loro nipoti ascoltano la stessa lingua con altri suoni. Oltre la politica, la lingua araba sta acquistano un nuovo spazio culturale nel pubblico israeliano che va oltre il discorso o l’impegno per la coesistenza, muovendo da un interesse culturale e radicandosi nell’esperienza quotidiana.


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