Tutta la grande stampa nazionale, sia pure con accenti (e finalità) diversi, ha presentato i risultati dei ballottaggi di domenica scorsa come la caduta delle roccaforti rosse e l’ennesima pesante sconfitta del Partito democratio, che per alcuni osservatori preluderebbe addirittura al dissolvimento – temuto o sperato, secondo i punti di vista – del suo insediamento sociale. Ora nessuno può (e vuole) nascondere i dati delle sconfitte a Massa, Pisa, Siena, Imola e Ivrea, storici capisaldi del Pd e della sinistra di governo, che ora in quelle città dovrà sperimentare il ruolo di opposizione forte, ma sperabilmente costruttiva, nell’interesse delle popolazioni interessate.
Senza pretendere in alcun modo di offrire una lettura esaustiva di quanto accaduto nelle urne, ritengo tuttavia opportuno – per un approccio interpretativo più equilibrato ma non consolatorio all’esito per il Pd e i suoi alleati delle elezioni amministrative – ricordare anche i successi del Centro-sinistra a Brescia, Ancona, Teramo, Brindisi, Trapani, Siracusa, ma anche quelli – di cui però si parla poco o non si parla affatto se non a livello locale – nelle elezioni nel III e nell’VIII Municipio a Roma, che hanno molti ma molti più abitanti di grandi Comuni ove pure il Pd ha perso – e in altri Centri italiani meno noti, qualcuno dei quali però con più abitanti rispetto alla ‘rossa Imola’ (69mila residenti), ove la sconfitta del Pd in favore dei Cinque Stelle ha fatto notizia sul piano nazionale. Intendiamo riferirci, solo per fare un esempio, alla vittoria del Centro-sinistra ad Altamura, grande comune di 70.658 abitanti della Città metropolitana di Bari, che è anche un polo di rilevante sviluppo economico dell’area murgiana a cavallo fra Puglia e Basilicata. Ma questa vittoria del Centro sinistra, se non andiamo errati, non è stata registrata da nessuna testata nazionale.
Ma anche in altri Comuni della Puglia, come Carovigno, Oria, Mola, Acquaviva delle Fonti, Noci, Casamassima, Conversano, tutti centri fra i 15mila e i 30mila abitanti, anch’essi con una crescita economica particolarmente vivace – che smentisce la visione di un Mezzogiorno sottosviluppato – il Centro-sinistra, o con l’alleanza fra i partiti tradizionali, o con liste civiche ha vinto le amministrative al primo turno o ai ballottaggi. Certo, in alcune di queste realtà il Pd e i suoi alleati, o le civiche ad essi vicine, hanno vinto approfittando di divisioni laceranti nello schieramento di Centro-destra che apparivano impensabili sino a pochi mesi prima delle elezioni; ed anche questo è un dato da analizzare in profondità là dove le fratture si sono verificate, non potendosi, a nostro avviso, derubricarle a semplici faide fra gruppi dirigenti delle sue forze politiche.
Ad oggi, peraltro, il Centro-sinistra, al governo della Regione dal 2005, amministra con il Capoluogo regionale metropolitano di Bari, altri 3 dei 5 capoluoghi di provincia della Puglia (Taranto, Lecce e Brindisi) e ben oltre la metà della popolazione locale.
È appena il caso di ricordare inoltre che il Centro-Sinistra – pur avendo nei mesi scorsi perso le ultime elezioni regionali in Molise, Friuli e Val d’Aosta – è tuttora al governo di Piemonte, Trentino, Emilia, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna e alla guida di Comuni capoluoghi di regione e di Citta metropolitane come Milano, Bologna, Firenze, Ancona, Bari, Palermo e Cagliari, oltre naturalmente di numerosi altri Comuni anche capoluoghi di provincia dal Nord al Sud del Paese.
Si ricordano questi dati solo per consolare gli sconfitti e nascondere i loro complessi problemi ? Assolutamente no, ma solo per evidenziare un dato di fatto che i dirigenti del Pd, ma anche i loro avversari, farebbero bene a non sottovalutare quando i primi, costantemente appiattiti nel dibattito interno, sembrano dimenticare (a volte) il loro persistente radicamento nel Paese pur se vistosamente eroso di recente, o quando i secondi (i loro avversari) ritengono che esso sia in via di liquefazione, ormai molto ravvicinata nel tempo.
Ma un’altra riflessione si impone, bisognosa naturalmente di successivi approfondimenti anche di tipo statistico. Ma si può parlare di marginalità o addirittura di un’ormai imminente scomparsa del Pd – ma anche, per converso, di ormai granitici insediamenti sociali di Lega e Movimento 5 Stelle nei Comuni in cui hanno vinto – quando nei ballottaggi è andato a votare all’incirca il 50% soltanto degli aventi diritto al voto ? E anche là dove il Pd perde in una delle roccaforti storiche, come ad esempio a Siena, non ha perso solo per qualche centinaio di voti e per poco più di un punto percentuale? Certo, ha perso e presumibilmente per cinque anni non guiderà il Comune, ma la sua base di consenso e il suo insediamento sociale in quella città possono dirsi completamente erosi o in procinto di esserlo? Al primo turno, i gruppi dirigenti della Sinistra si sono presentati divisi e il popolo si è diviso nell’urna, ma al ballottaggio si è ricomposto. A Pisa il distacco è stato maggiore fra Centro-destra che ha vinto con il 52,3% e il Centro-sinistra, ma si può parlare di un vero e proprio tracollo di quest’ultimo che certamente perde, raggiungendo però il 47,7% dei consensi espressi dal 55% degli aventi diritto al voto che si sono presentati alle urne al secondo turno?
Facciano allora tutti molta attenzione a ricavare dai risultati elettorali valutazioni univoche e (forse) affrettate, non confortate da letture in profondità sui vari territori dei dati reali che sono emersi nell’ultimo turno delle amministrative e che, pur segnalando grande mobilità dell’elettorato, non sembrano tuttavia ad un’analisi molto attenta, aver completamente scardinato insediamenti sociali storici.
Tutto ciò non toglie evidentemente che il Pd sia di fronte a complessi problemi irrisolti che dovranno essere affrontati con riflessioni molto approfondite e se possibile supportate da analisi scientificamente molto rigorose di tipo economico, sociale e culturale delle varie realtà del Paese, con confronti serrati, non eterni, e sperabilmente civili e costruttivi fra i suoi gruppi dirigenti vecchi o in via di formazione, e soprattutto con il pieno, effettivo e costante coinvolgimento di iscritti, elettori e simpatizzanti, e con nuove forme di organizzazione.
Ma il Pd riparta dall’esistente e da ciò che resiste del suo insediamento nelle varie articolazioni della società italiana, senza considerarlo aprioristicamente vecchio, residuale e destinato solo ad essere emarginato.