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Febbre gialla. Il Senato Usa sconfessa Trump sulla cinese Zte

Nato golfo muro

Il Senato americano ha votato lunedì per reinserire il divieto imposto ad aprile alla Zte, gigante delle telecomunicazioni cinese, colpito con una sanzione che impediva alle aziende americane di vendergli componentistica essenziale, e che il presidente Donald Trump ha cercato di salvare, portare a un accordo, per tenere aperto un link di allentamento con la Cina in mezzo al confronto commerciale in corso.

I senatori hanno inserito un emendamento bipartisan alla maxi legge sulla Difesa, il National Defense Authorization Act – provvedimento “must pass” che stanzia oltre 700 miliardi per il Pentagono e ha ricevuto 85 voti a favore – e deciso di confermare il divieto per le aziende statunitensi di vendere i propri prodotti alla Zte, motivando la scelta con una ragione di sicurezza nazionale.

La Zte era stata precedentemente punita perché aveva tenuto rapporti commerciali con Iran e Corea del Nord, paesi sotto sanzioni a cui in quel modo – tramite le vendite della cinese – era indirettamente arrivata anche tecnologia americana. Ma sulla ditta pende anche una denuncia dell’Intelligence Community americana, che la accusa, insieme all’omologa Huawei, di lasciare aperte backdoor sui propri sistemi per permettere lo spionaggio di Pechino; la denuncia ha portato il Pentagono a vietare l’acquisto dei prodotti Zte ai propri dipendenti (l’emendamento passato lunedì colpisce anche Huawei, impedendo anche la concessione di finanziamenti o prestiti federali ad entrambe le compagnie).

Il presidente Trump aveva utilizzato il caso Zte come leva della sua diplomazia economica. Ad aprile aveva spinto la propria amministrazione a proclamare il ban, ma poi un mese dopo aveva chiesto di avviare le trattative per un accordo, davanti al fatto che la misura punitiva americana aveva messo seriamente in difficoltà la ditta cinese, e soprattutto perché voleva usare l’accordo come canale di apertura nell’ambito degli aspri trade talks in corso con la Cina.

Ora il Senato ha bocciato la traiettoria del presidente, segnando un’altra spaccatura tra congressisti e Casa Bianca, o meglio tra Partito repubblicano e presidenza. Un’altra perché in questi giorni si sta consumando anche un scontro tra l’amministrazione (e in definitiva il presidente) e le linee più moderate del partito che si trovano in Senato: quello sul caso delle separazioni famigliari e più in generale sull’enorme questione dell’immigrazione; e più nel profondo politico della situazione, sui finanziamenti al muro col Messico, che Trump vorrebbe per mantenere la più roboante delle sue promesse elettorali, ma il Congresso stenta a stanziarli.

Contro Zte si sono spesi importanti senatori repubblicani come Tom Cotton e Marco Rubio, nonché i democratici come il leader delle minoranze Chuck Schumer ed Elizabeth Warren. Nei giorni scorsi, il segretario al Commercio, Wilbur Ross, che aveva guidato l’accordo raggiunto con la ditta due settimane fa, è stato più volte visto bazzicare Capitol Hill nel tentativo di trattare con i senatori, e pure il presidente ha tenuto riunioni per convincere i congressisti del suo partito.

Ma niente, per ora (un’altra riunione è prevista mercoledì). Trump ha in mano ancora il veto, a quel punto ai legislatori servirebbero i due terzi del Congresso per superarlo. Quota difficile se si considera che si inquadra in un momento delicato in vista delle Midterms: il partito vuol farsi sentire, ma sa che dovrà contare sulla spinta del presidente per non correre il rischio di perdere entrambe le camere.

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