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La Toscana parla chiaro: il Pd va smontato pezzo dopo pezzo. Cercasi fabbro, astenersi intellettuali

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Iniziamo dalla geografia, che è sempre utile anche in chiave ripasso. La Toscana è una delle regioni più grandi d’Italia (la quinta per la precisione) ed anche per questo ha ben undici capoluoghi di provincia. È da sempre culla della sinistra italiana, al punto che in una delle sue città più importanti e ricche di storia (Livorno) si svolge il XVIIesimo congresso del Partito Socialista, quello del gennaio 1921 in cui nasce (con una scissione, elemento ricorrente a sinistra) il Partito Comunista Italiano. Nel secondo dopoguerra la Toscana è feudo assoluto del Pci, che domina elettoralmente ben sostenuto dalle grandi centrali ad esso collegate come sindacati, cooperative e banche (Monte dei Paschi in primis).

Quindi, per farla breve, le città toscane presentano una sequenza di sindaci di sinistra dal ‘48 in poi, tradizione sostanzialmente rimasta viva anche dopo il terremoto del 1992. Arriviamo dunque al tempo presente, in particolare dopo il voto di ieri. E guardiamo la fotografia delle undici città capoluogo, per molti e molti anni tutte, ma proprio tutte, governate contemporaneamente dallo schieramento “rosso”.

Ebbene oggi solo tre città hanno sindaci del Pd (Firenze, Prato e Lucca) mentre tutte le altre sono nelle mani di irriducibili avversari della sinistra (due al M5S, cioè Livorno e Carrara e le altre al centro-destra a trazione leghista). Ecco allora chiarirsi una volta per tutte lo scenario che abbiamo davanti, che non può essere iscritto nella normale dinamica “up and down” della politica.

Il progetto maggioritario del Pd disegnato da Walter Veltroni ha cessato di esistere, passando in un decennio (nel 2008 prende il 33 per cento alle elezioni politiche) alla sostanziale irrilevanza attuale, evitata in qualche caso (Brescia, Ancona) grazie alla bravura dei sindaci uscenti.
La sinistra italiana sta cessando di esistere sotto il peso di scelte scellerate compiute tutte nello stesso decennio e tutte finite per rivelarsi capaci di ottenere un solo risultato: massacrare i ceti popolari dei Paesi europei.

Già perché la sinistra sceglie la globalizzazione sfrenata (si ricordi la Terza Via di Blair, Clinton e D’Alema, che proprio a Firenze celebrano la loro visione comune), sceglie l’Europa della moneta unica a trazione della finanza e della Germania e sceglie una politica dell’accoglienza sul fronte immigrazione tanto nobile quanto velleitaria.

Il risultato finale è che mentre una volta votavano a sinistra gli operai e gli impiegati della Toscana, oggi lo fanno gli avvocati di grido e i banchieri che stanno a Brera a Milano o ai Parioli a Roma, non a caso i due quartieri a più forte consenso per il Pd. L’avanzata di populisti e sovranisti è anche figlia di una sinistra sconcertante, immatura, gigiona e dalla puzza sotto il naso, esattamente la sinistra che abbiamo conosciuto in questi anni.

Una sinistra litigiosa e rancorosa, che in Italia si è nutrita unicamente della sua avversità al Cavaliere e che, non a caso, tramonta insieme a lui.
In politica ad una fase ne segue (quasi) sempre un’altra. Adesso è tempo di smontare il Pd pezzo dopo pezzo, per mettere su una nuova avventura politica finalmente capace di stare dalla parte dei più deboli. Serve un meccanico, un fabbro, un artigiano.

Non un intellettuale illuminato ed evanescente, per quelli bastano i dibattiti a Capalbio.

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